A Palazzo Te, buona la prima
8 9 2017
A Palazzo Te, buona la prima

La parola che canta

Nel mondo della letteratura il 2016 verrà ricordato come l’anno in cui il Nobel per la Letteratura è stato assegnato a Bob Dylan. Nonostante le polemiche, da tanti anni nell’ambiente si avanzava l’ipotesi di riconoscere questo prestigioso premio al cantautore e, finalmente, è successo. Per celebrare questo evento, che sancisce il connubio arcaico e secolare fra poeti e musicisti, quest’anno Festivaletteratura - insieme al Centro Internazionale d’Arte e Cultura di Palazzo Te e il Museo Civico di Palazzo Te - ha ideato La parola che canta: tre serate di festa itinerante fra le splendide sale di Palazzo Te per avvicinare il pubblico all’incontro fra poesia e musica.


Il maltempo non ferma la prima serata de La parola che canta. Quasi a siglare un patto segreto tra il Festival e gli spiriti gonzagheschi, la pioggia si ferma alle 19.00 in punto e il sole fa capolino sul Cortile d’Onore di Palazzo Te. In un’atmosfera quasi irreale, a questo punto, non sembra nemmeno un caso che, ad aprire, l’evento, siano le voci di Choman Hardi e Hevi Dilara. Entrambe curde. Legate quindi ad un paese che, per molti «nemmeno esiste». Entrambe, a loro modo, hanno sofferto l’allontanamento dal Kurdistan. Appare quasi logico (quanto imprevedibile), allora, il collegamento con l'Addio del Passato da La Traviata che viene proposto subito dopo, alle spalle delle due poetesse. È il primo assaggio di Parole all’opera, brevi intermezzi alternati tra la Sala dei Cavalli e quella di Amore e Psiche.

L’operistica è forse il simbolo vero e proprio dell’evento di Palazzo Te: mai come nella tradizione lirica è così forte il connubio tra musica e parole. Eppure, sono le note quelle che giungono prima agli spettatori, come rimarcava quel galantuomo (mai sufficientemente ricordato) di Antonio Salieri. Il legnaghese intitolò un divertimento teatrale proprio Prima la musica e poi le parole. Un'opera da riscoprire, ben più della famigerata rivalità (del tutto inventata) tra Salieri e Mozart. Ma il momento forse più “corretto filologicamente” è quello successivo, con Giovanni Bietti e Gemma Bertagnolli che ripropongono un brano dell’Orfeo monteverdiano. Fu proprio Mantova la prima cornice del melodramma rinascimentale con l'anteprima tenutasi all'Accademia degli Invaghiti il 22 febbraio 1607 e la prima due giorni dopo a palazzo Ducale. Nel prologo dell’opera, la Musica personificata parla di sé, ringraziando il pubblico e decantando le proprie abilità, soprattutto quella di «far tranquillo ogni turbato core».

Negli ultimi mesi, però, la “diatriba” più grande tra musica e parole è quella che ha riguardato l’assegnamento del Nobel a Bob Dylan. Il dibattito è vecchio quanto il mondo: la canzone ha dignità letteraria? Forse sono questioni di lana caprina, eppure Alessandro Carrera (che, quando parla di Dylan, ci tiene a non essere chiamato “professore”) spiega che, all'università, gli stessi professori invitano gli studenti a non scrivere più tesi su De André, pure troppo inflazionato. Non è meno dylaniano Jordi Sierra i Fabra.

Nell'evento all'esedra (spostato nell'auditorium), entrambi gli autori si soffermano sui cosiddetti “plagi” del musicista: la sua autobiografia è piena di citazioni non riconosciute da altri autori (talvolta scritte sbagliate), così come il famoso discorso del Nobel, che contiene pure dei copincolla da Wikipedia. La stessa scrittura del Dylan narratore è in un inglese pessimo (e, forse, questa è un’altra cifra del suo genio). Ma a Bob (e a noi) questo non importa: se Kirk Douglas diceva che «Se vuoi dire la verità scrivi un romanzo, se vuoi mentire scrivi un'autobiografia», in Dylan basta sostituire il romanzo con la parola “canzone” e il gioco è fatto.

Festivaletteratura