Abitare il vuoto
10 9 2017
Abitare il vuoto

La prossemica nell'assenza

Il vuoto ci accompagna da sempre. È diventata un pressione filosofica. Sulle tematiche dell’assenza dell’essere e del non essere si sono scatenati da sempre filosofi e scienziati. L’idea di un vuoto contrapposto ad un pieno, ovvero un confronto come definizione e non traduzione letterale effettiva, è un limite. Ciò che è tra di noi, quello spazio invisibile, riempito da altrettanta materia invisibile, è vuoto.

La perversione per il vuoto si sviluppa in particolare modo dal Seicento, con la creazione di macchinari specializzati nella ricerca del vuoto e nella sua analisi molecolare. La forma che si sceglie per rappresentarlo è la sfera, massima espressione di perfezione. Oggi si sa con certezza, grazie agli studi compiuti dalla fisica elementare e quantistica che il vuoto non ha forma e soprattutto non esiste. È costituito semplicemente grazie alla presenza di altri elementi che in uno spazio si mettono in relazione e l’intervallo metrico che li separa è detto vuoto. La scoperta del Bosone di Higgs è stata fondamentale, ha consentito di capire che la massa delle particelle si crea solamente quando entrano in relazione le une con le altre.

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Prescindere dall’idea di relazione è un errore fondamentale. Azzerare il vuoto tra due oggetti significa unirli e renderli un’unica entità. “Nel vuoto bisogna lavorare e del vuoto bisogna prendersi cura” dice Luca Molinari, critico e storico dell’architettura. Trattarlo come uno spazio di condivisione e assoluta presenza. Spesso infatti, si pensa erroneamente che queste distanze siano inutili. Si tratta invece di una forte, potenziale, utilità (L’utilità dell’Inutile per parafrasare Nuccio Ordine).

Per delimitare il vuoto servono contrasti. Dentro-fuori, alto-basso ,mio-tuo. L’architettura serve a questo: delimitare i perimetri e definire le diverse funzionalità. Costruire piccoli spazi sottovuoto in residenza al vuoto stesso. La capanna dei nomadi sotto le stelle e il vuoto universale, nella steppa, è un esempio calzante per comprendere la logica architettonica. La prima vera struttura sottovuoto è la tomba. È uno spazio che fugge dal vuoto e se ne distanzia, resiste, pur con la sua notevole consapevolezza. Dalla tomba alla casa. Dalle case alle città. Le città come unione di case intervallate da spazi strettissimi, vicoli. Spazi di vuoto che sono il vero spazio libero di una comunità. Città costruite seguendo la struttura del labirinto dove al centro, dopo complicati percorsi, si arriva alle piazze, prime vere rappresentazioni volute del vuoto. Vuoti riconoscibili. In questi spazi riconosciamo il bisogno di vivere perchè ci possono garantire assoluta libertà. La città antica nasce come una realtà aperta, disponibile, immediata. Questo cambia con l’avvento preponderante di una borghesia e di uno spazio privato, non si ha più la necessità di una distinzione degli spazi. Il vuoto deve riacquisire quel valore arcano sbiadito da tempo. Gordon Matta-clark un’artista degli anni settanta scelse di tagliare le case. Rompere questa tradizione ed esporle come monumento al vuoto, perenne monito per un pericoloso sottovuoto.

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Il vuoto è una risorsa reale. L’architettura valida, come spazio vivo, da sempre si mette in relazione. Un'architettura umile e aperta, disposta a creare un vuoto con ciò che ha attorno e renderlo spazio fertile e libero. Lo “space in between” è una risorsa straordinaria. Si ha paura del vuoto come senso della perdita delle cose. In verità il compito che ci spetta oggi è quello di lavorare su quello che abbiamo e ricostruirlo per renderlo funzionale alla creazione di un respiro tra un edificio e l’altro, tra l’uomo e la realtà.

Il vuoto stimola il pensiero critico e ci consente di vivere, abitare uno spazio e ragionare in una modalità differente e insolita, che cambia le nostre percezioni. Il vuoto è uno spazio di relazione.

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