Autobiografia per mostri
8 9 2017
Autobiografia per mostri

Michele Mari e la sua Leggenda privata

Se i confini geografici sono valicabili, ancor più lo sono quelli che convenzionalmente delimitano i generi letterari: gli scrittori di questa edizione si dimostrano tra i più propensi a muoversi liberamente tra canoni, forme e registri espressivi.


«Non racconto la mia vita, racconto la leggenda che mi sono raccontato per rendere vivibile la mia vita»: in una sola frase Michele Mari spiega a Francesca Scotti e all’ammirato pubblico di Palazzo d’Arco il suo ultimo romanzo, Leggenda privata (Einaudi, 2017).

Ma perché la necessità di rendere la sua vita vivibile? Nella storia famigliare di Mari, figlio di geni come Enzo e Iela, c’è una ineludibile componente mostruosa – conflitti inespressi, affetti tacitati, ammirazioni sconfinate – con la quale convive da sempre. La necessità di fare i conti con questo «orrore» ha dettato la scelta di sublimarlo letterariamente nella tradizione gotica che segna la cornice del romanzo, dove mostri e presenze oscure esigono da Michele Mari una sua autobiografia. «Il contesto raccapricciante di questi mostri di carta», dice l'autore, «rende digestibili, accettabili, narrabili, episodi della mia vita che altrimenti non amo rievocare e non ho mai divulgato» – una trasfigurazione che però non si avvicina mai a una pratica edulcorante.

Se questo è il privato mostruoso, anche la leggenda comincia in famiglia: nelle ataviche cinghiate trasmesse di padre in figlio, nelle imprese titaniche di Enzo che vince una borsa di studio su cinquecento, o nelle scalate dolomitiche della madre. Una leggenda che si è trasmessa quasi per via osmotica nella scrittura di Mari, che dice: «se devo parlare delle mie nevrosi e ossessioni, voglio farlo in modo eroico, leggendario». Come in un film di John Ford, dove se cronaca e leggenda confliggono, da stamparsi è sempre la leggenda.

A sostanziare la scrittura di questa singolarissima autobiografia, una lingua che si differenzia dalle opere precedenti dell’autore perché lascia spazio ai lessici famigliari dei genitori. Da una parte quello ideologico del padre, che faceva un «uso demonizzante dei suffissi» (tra i sorrisi del pubblico: «deficientello era molto peggio di deficiente»), dall’altra l’idioletto della madre nato invece dal malessere, una lingua deformata in termini regressivi. Un gioco linguistico-famigliare che Mari non ha fatto altro che continuare quando, da scrittore manierista, ha fatto della sua lingua arcaizzante un marchio inconfondibile.



Per chi vuole approfondire il percorso, Festivaletteratura propone gli eventi 35 IRONICI MALINCONICI - 39 IN PROFONDITÀ - 53 PICCOLE GRANDI STORIE - 65 IL PROFUMO DI LEGNO FRESCO - 90 LABILI CONFINI DELLA MENTE - 91 LE COSE NON SONO MAI COME APPAIONO -106 IL FILO ROSSO DEGLI UOMINI ILLUSTRI - 115 “L’AMORE SI IMPOSSESSAVA DI LEI” - 132 IL PONTE TRA L'AFRICA E L'EUROPA - 133 VERITÀ LETTERARIE - 136 NEL BAR DI PAESE - 145 UN UOMO DALLE MOLTE VITE - 160 TRA LE BRACCIA DI JESSE - 163 I MONTI SONO MAESTRI MUTI - 175 IL MONDO IN UNA STANZA - 194 NOI SIAMO CON TE - 201 DIARI PER IMMAGINI - 208 MISTERI LEGGENDARI - 210 SE SON ITALIAN, PERCHÉ ME CIAMO COVACICH?

Festivaletteratura