L’esaltante pericolo della poesia
9 9 2017
L’esaltante pericolo della poesia

Milo de Angelis: tensione visionaria, ricerca, slancio eroico.

«Versi difficili: che non volano però al vento sulle foglie della Sibilla, ma se ne stanno ostili come scacchi a partita giocata e vogliono che noi la si ripercorra all'indietro, fin dall'inizio. Danno il labirinto e il filo, non la pianta». Franco Fortini descriveva così la produzione di Milo de Angelis (1951), carica di una parola poetica espressa con difficoltà, oscura, contorta, coagulata, tragica, tesa nella verticalità pindarica e nel gioco delle varianti.

A dialogo con Daniele Piccini, il poeta milanese ha presentato oggi a Festivaletteratura l’antologia Tutte le poesie 1969-2015 (Mondadori, 2017), che riunisce più di quarant’anni di materiale, tra editi e inediti. Il volume organizza raccolte molto differenti tra loro, dalla giovanile Somiglianze (Guanda, 1976), all’onirica Millimetri (Einaudi, 1983) alle mature Distante un padre (Mondadori, 1989) e Incontri e agguati (Mondadori, 2015).

Se «Somiglianze è il coro greco, tira le somme e stabilisce chi ha torto o ragione» spiega De Angelis, «Millimetri è l’oracolo, l’imperativo che per quanto folle non si discute». Millimetri è espressione dell’irrazionale: il paesaggio urbano collassa, si perde il controllo sulla realtà e la poesia diventa visione nevrotica, a testimonianza di un totale scardinamento delle condizioni percettive dell’io poetico. Si riscontra una linea più rilassata soltanto a partire dagli anni ‘80, quando la progettualità e la maturità della vita adulta si contrappongono alla vena impulsiva e folle della giovinezza, che tuttavia rimarrà sempre la passione tematica di De Angelis.

L’adolescenza è il momento del cortile, dell’avventura, della scelta dei compagni, del pericolo di essere poeta: la poesia di De Angelis è costitutivamente adolescente, perché è formazione, ma allo stesso tempo ricerca anarchica e ribelle di una strada espressiva ed esistenziale diversa, personale. «Negli anni sessanta la poesia conosceva tre vie: la militanza politica, la fuga in Oriente e il conservatorismo borghese» spiega l’autore, «io sentivo di non appartenere ad alcuna di queste», da qui l’opposizione alla corrente e la crescita personale attraverso la rivista Niebo (1977-1980).

A partire dagli anni ’70 De Angelis intesse un dialogo solidale, contrastivo, fraterno o semplicemente letterario, con Franco Fortini, Mario Luzi, Pietro Bigongiari, Giorgio Colli, Angelo Maria Ripellino, Marina Cvetaeva e Pier Paolo Pasolini. «Non ho mai parlato prima del mio rapporto con Pasolini», confessa oggi De Angelis: si tratta di un legame personale mancato, spiega l’autore, limitandosi a un breve scambio epistolare e a un incontro fissato per le vacanze di Natale del ’75, che ovviamente non si è mai verificato; il rapporto letterario è invece significativo ma ambivalente, segnato da una repulsione per la militanza poetica e il patetismo del regista, ma anche dalla stima per il suo precoce e visionario talento artistico.

Osservando complessivamente l’opera di De Angelis, malgrado le differenze tra le raccolte, si osserva un’unità fondamentale che si origina dalla poetica del porto sepolto, ulteriore connessione con la tradizione letteraria. «Non scrivi ciò che sai ma cominci a saperlo scrivendo», leggiamo in conclusione a Tutte le poesie: la poesia è sempre riconoscimento di realtà nascoste, agnizione del non noto a cui finalmente si attribuisce un nome; la parola poetica acquista allora significato, verità, eroismo, scampa alla trascuratezza dell’esistenza e diventa atto unico cristallizzato nel tempo e sulla pagina.

Per chi desidera più informazioni su Milo de Angelis il trailer di Sulla punta di una matita, docufilm allegato a La parola data. Interviste 2008-2016 (Mimesis, 2017).

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Festivaletteratura