Leonardo Zanier, poeta della Carnia
1 5 2017
Leonardo Zanier, poeta della Carnia

Le parole del cantore friulano delle migrazioni a Festivaletteratura 2016

Da quel capolavoro della poesia dialettale del secondo Novecento che è Libers… di scugnǐ lǎ (1964) emerge una domanda, dura come un macigno, che accomuna tutti i componimenti poetici e tutte le esperienze, le storie e le vite lì raccolte: "dove sono andati?". Le voci protagoniste dell’opera di Leonardo Zanier (1935-2017) sono quelle di donne e uomini spinti dall’indigenza, la cui unica libertà è stata quella di partire, abbandonare i paesi nei quali lo stesso poeta è nato, rinnovando, generazione dopo generazione, «l’orrenda tradizione» di cui egli si è fatto cantore e portavoce, con la sapienza di un archeologo che si riappropria in primo luogo di una lingua affinché essa non scompaia definitivamente dalla memoria storica.

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Zanier conosceva bene la povertà dei migranti friulani, tanto spiritualmente che materialmente: è una povertà che per decenni è risuonata nelle esistenze di centinaia di famiglie e nei villaggi sempre più spopolati della Carnia. Accanto all’attività letteraria ha seguito e coordinato per oltre quindici anni progetti europei di sviluppo locale contro la marginalità e l'esclusione, è stato presidente della Fondazione Ecap Svizzera (Istituto per la formazione degli immigrati e la ricerca) e membro del direttivo e responsabile esteri dell'associazione Smile (la rete di formazione e ricerca, promossa dalla Cgil, presente in gran parte delle Regioni italiane e nei principali Paesi europei). Ha anche promosso, come socio fondatore della Cooperativa “Albergo diffuso", la ristrutturazione di bellissime case e rustici appartenuti in gran parte a proprietari emigrati, affinché l’abbandono e il sacrificio di tanti lasciassero una traccia viva sul territorio.

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Pur tuttavia è nelle sue splendide poesie in dialetto, oggi tradotte in diverse lingue straniere, che Zanier trovò il veicolo più bello e incisivo per raccontare il dramma dei migranti. Egli fu in grado di servirsi della lingua carnica dei padri, misconosciuta ai più, per dar conto di quello «spreco di affetti», di quel «correre senza interesse», di quel «diventare vecchi senza speranza» che fu l’emigrazione dal Friuli. Ne è venuta fuori una geografia degli affetti di stupefacente attualità, che il pubblico del Festival ebbe modo di riascoltare nel 2016 per bocca dello stesso Zanier, intento a rileggere molte delle sue poesie in compagnia dell’amico Pierlugi Di Piazza. «Si tratta di parole – affermò Di Piazza nell’introduzione all’evento Liberi... di dover partire – che possono essere scritte per i migranti di oggi, nonostante Leo le scrivesse decenni or sono»; parole tuttora capaci di far conoscere, più di tanti inutili proclami ideologici, la verità nascosta nelle vite a margine di chi è costretto a partire.

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