OK. E allora?
7 9 2017
OK. E allora?

L'identità è ciò che vogliamo costruire

«Se uno mi identifica in qualche modo, l’identità per me proposta mi fa sentire un oggetto. È un libanese, un arabo, un autore di teatro. È come quando dico: è una mela, è una sedia. Per questo mi intestardisco a non volermi far ridurre a una identità chiusa». L’identità è uno dei temi centrali per la produzione di Wajdi Mouawad; una produzione variegata al punto da non poterle facilmente classificare l'autore. Ha scritto romanzi, drammi teatrali, sceneggiature per il cinema e per radiodrammi. E’ attore e regista.

La questione dell'identità, in primo luogo, collega le sue opere. Un’identità che, dice Mouawad, non è da ricercare nella terra o nella religione d’origine. È, piuttosto, una tensione: se dipendesse solo dall’origine non ci sarebbe più nulla da inventare, da creare. Viceversa, l’identità è legata a quello che vogliamo costruire. È un’idea che si libera quando non è del tutto compiuta, quando è un tragitto. Solo nel momento in cui moriamo, probabilmente, l’identità si compie.

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L’adolescenza è un momento importante per la costituzione dell’identità, oltre ad essere un altro tema ricorrente per l’autore nato in Libano nel 1968 e, poi, scappato dalla guerra civile insieme alla sua famiglia, prima a Parigi e poi a Montreal. È quel momento in cui «tutti gli adolescenti tradiscono le loro ambizioni, diventando adulti. Ogni sera un figlio adolescente impicca un suo sogno, attaccando al soffitto della stanza una corda. E da adulti siamo la somma dei sogni impiccati nella nostra adolescenza».

E l’adolescenza è difficile soprattutto in tempo di guerra, sperimentata da bambino dallo stesso Mouawad e da diversi personaggi delle sue opere. È ad esempio il motore delle vicende dei protagonisti di Incendies, film diretto nel 2011 da Denis Villeneuve, uscito in Italia con il titolo di La donna che canta. L’opera, tratta dall'omonimo dramma teatrale di Mouawad, si apre a Montreal con una donna ormai anziana che, morendo, dà ai figli il compito di ritrovare l’uno il padre, l’altra il fratello, in un viaggio in una nazione del Medio Oriente, che rimane anonima, ma che ha vissuto la guerra civile. È un viaggio che permette, appunto, di conoscere la propria identità e la propria provenienza, senza però rimanerne ingabbiati.

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Mouawad si è avvicinato al teatro, da studente, come strumento di popolarità. Scrivere è diventato successivamente un mezzo per cercare di salvare il mondo. Poi l’obiettivo è diventato toccare e smuovere i propri amici, gli attori. Perché fosse riconosciuta la sua bravura. Ora Mouawad scrive per dar voce a chi non ha parole, per dar voce a chi non ha potere.

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