Riflessioni di uno psichiatra riluttante
8 9 2017
Riflessioni di uno psichiatra riluttante

La scrittura come denuncia dei luoghi dove vengono confinati i pazienti affetti da disturbi mentali

Il 13 maggio 1978 la legge 180 (nota anche come legge Basaglia) impose la chiusura dei manicomi, una grande vittoria nel mondo della psichiatria che però ha avuto delle conseguenze enormi, ha preteso la necessità di accogliere questo difficile percorso di cambiamento cercando di mettere in pratica la ricerca medica e le conquiste di libertà e diritti di chi è affetto da disturbi mentali.

Per ogni dolore, una pastiglia del giusto colore è stato un incontro in cui Piero Cipriano insieme a Peppe Dell’Acqua e Pier Aldo Rovatti ha tracciato i contorni della psichiatria, facendo chiarezza sulle diverse tipologie di disturbi e raccontando con toni di forte denuncia le crudeli pratiche che gli psichiatri ancora applicano ai pazienti ritenendole efficaci.

«Sono uno psichiatra riluttante, per molti anni mi sono sentito una sorta di cane sciolto, una persona che agiva in completa solitudine nel campo delle istituzioni», così piace definirsi a Piero Cipriano, psichiatra e psicoterapeuta che lavora in un centro di Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC) e autore di La società dei devianti, ultimo di una trilogia di libri che raccontano dei ‘crimini di pace’ che si svolgono nelle cliniche di cura.

«Riluttante nel senso di critico ed eretico perché contestavo le terapie dei miei colleghi e attraverso i miei libri mi sono reso conto di non esser solo, nel giro di qualche anno altri riluttanti si sono fatti avanti».

Aggettivo che non potrebbe esser più adeguato anche secondo il filosofo Rovatti, perché identica la chiave della questione: l’esser dentro le pratiche ma fuori dai giochi di consenso, mettere in crisi il proprio ruolo e tutti gli schematismi e le rigidità continuando però ad esercitare la professione.

Con una scrittura spregiudicata e dirompente Cipriano mette in fila talvolta con dolore, talvolta con ironia la condizione di chi lavora in questo campo, di chi vive l’esperienza del disturbo mentale, di chi amministra il sistema, riproponendo al lettore tutta la sua angoscia ogni volta che mette piede in un edificio di cura e la difficoltà di scontrarsi con le insensatezze delle pratiche psichiatriche.

«Oggi noi non sappiamo che le persone vengono legate, che i giovani rischiano di fare delle esperienze negative che saranno determinanti per il resto della loro vita», interviene lo psichiatra Dell’Acqua, che si occupa delle politiche di salute mentale, anche lui schierato contro i manicomi e i farmaci antidepressivi, il cui uso oggi sarebbe tanto in voga perché procurerebbe un fugace momento di felicità.

Secondo i dati diffusi dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sono circa 300 milioni al mondo le persone affette da depressione. A differenza del passato, oggi i medici sono convinti che sia davvero possibile guarire e recuperare la propria vita, grazie anche al supporto della comunità.

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