«Sono fuochi d'artificio o spari?»
7 9 2017
«Sono fuochi d'artificio o spari?»

Choman Hardi e il desiderio di quotidianità dei Curdi

Nelle piazze del Festival si raccolgono le storie di chi ha perduto la propria terra. Chi ha dovuto allontanarsi dai terreni di conflitto o da un regime oppressivo, trova qui uno spazio per raccontare la propria condizione. Come K. Thùy, M. Thien, T. Aw, J.E. Agualusa, E. Kurniawan, F. Bayrakdar, H. Parker: sono queste alcune delle voci internazionali del Festival.


Choman Hardi ringrazia il pubblico di Festivaletteratura per essere accorso numeroso in una giornata così calda. «Sappiate che state per ascoltare delle poesie non proprio allegrissime», si scusa prima di passare a leggere alcuni dei componimenti presenti nella prima edizione italiana delle sue poesie. La poetessa curda viene accompagnata nella lettura da Paola Splendore, curatrice de La crudeltà ci colse di sorpresa, che quasi si commuove all’ultimo verso di Corde, quando «la corda era ancora una cosa inoffensiva». Ugualmente emozionata è Hevi Dilara, musicista e poetessa, curda a sua volta, che si scusa in anticipo perché per lei non sarà facile leggere Un momento per Halabja.

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Hardi le incoraggia con lo sguardo dolce e carezzando loro le spalle, le invita a leggere cercando lo sguardo del suo pubblico. Scherza sui suoi versi liberi, che suo padre, poeta curdo della vecchia guardia, avrebbe disapprovato. Scrive in inglese e in curdo eppure risponde al pubblico che i versi nella sua lingua di origine, affezionata alla poesia “urlata”, sono sempre più inglesi.

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Seppellisce le emozioni sotto un linguaggio piano e sotto la pacatezza della quotidianità. Racconta così un paese «che non esiste sulle carte geografiche, però esiste nei cuori» e un popolo che «crede di lasciare alle spalle le proprie case, la verità è che se le porta sempre dietro, con le cose belle e le cose brutte». La poetessa è più volte quasi sul punto di scusarsi per la mestizia delle sue parole scritte e decide di concludere con una poesia che definisce «un joke». Spiega che alle bimbe curde che si distinguono per intelligenza viene detto che si sposeranno sette volte, perché nessun uomo reggerà la maledizione della loro intelligenza. L’io poetico è una sposa al suo settimo matrimonio, che chiama a raccolta parenti e amici alla festa, che sarà occasione di pettegolezzo, di tranquilla quotidianità. È proprio di quella quotidianità che Choman Hardi suggerisce abbia bisogno il popolo curdo.

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Se volete approfondire ulteriormente potete seguire l'intervista di Festivaletteratura

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