Un uomo decisivo per uomini decisivi
9 9 2017
Un uomo decisivo per uomini decisivi

Vola come una farfalla, pungi come un'ape

Certamente un uomo decisivo per uomini decisivi, come recita il titolo del libro di Federico Buffa ed Elena Catozzi, presenti a Festivaletteratura in piazza Castello. Muhammad Alì fu davvero il protagonista degli anni '60 e '70, sia dal punto di vista sportivo che da quello sociale e politico. Molto spesso per merito anche di un meraviglioso sceneggiatore occulto che lo ha invisibilmente diretto lungo la strada giusta per rimanere indelebile nella mente di così tante persone.

Come quando iniziò la carriera di pugile, in pratica a causa del furto della sua bicicletta. Si avvicinò ad un poliziotto per denunciare la cosa e questo subito divenne il suo mentore che lo iniziò alla boxe. Oppure quando nel 1971 perse contro Frazier e arriva ad un passo dal baratro. La corte suprema si doveva riunire per decidere della sua condanna a cinque anni per essersi rifiutato di andare a combattere in Vietnam. E per una serie di eventi, gli otto giudici, prima in maggioranza a conferma delle sentenze precedenti, poi all’unanimità lo assolvono. Solo grazie a questo miracolo abbiamo potuto assistere alla sfida del secolo a Kinshasa.

Per sottolineare maggiormente i tratti caratteristici di Alì, Federico Buffa lo paragona a Kareem Abdul Jabbar. Ma, al contrario del campione di basket, schivo e quasi imprigionato in un corpo abnorme, Alì non ha problemi a mostrarsi. Ha sangue irlandese e i suoi tratti sono dolci. Dopo la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Roma, esplode in tutta la sua bellezza. Le vibrazioni che emana, delle quali è pienamente cosciente, ti costringono a girarti. Lui lo sa e farà sempre in modo che tutti lo sappiano. Sarà sempre orgoglioso di essere afro-americano e la sua esistenza, le sue battaglie illumineranno la vita di tantissime persone. Anche perché Alì stesso cercherà di farsi ricordare in tutti i modi possibili. Con le sue crociate per i diritti civili, con la spavalderia, con la sua dolcezza, con i suoi incontri al limite (e oltre) delle resistenza umana, con i suoi slogan urlati ai giornalisti e contro i rivali, con la sua battaglia contro il Parkinson. La sua fisicità, i suoi gesti, sempre al primo posto. Icona vivente e consapevole. Arriverà a registrare telefonate e dialoghi per cercare di rimanere nella storia, per tramandare ai posteri la propria consapevolezza.

Ci rimane per esempio una telefonata ineguagliata a Foreman durante la quale parlano di Dio. Un musulmano e un cristiano. Un dialogo che dovrebbe essere insegnato a scuola. «Perché tutti proveniamo dallo stesso Dio», dice Alì al suo vecchio avversario. L’avversario di Kinshasa. L’avversario del Rumble in the Jungle. L'incontro del secolo (raccontato magnificamente dal film oscar Quando eravamo re). Anche i Monsoni aspettano che l’incontro finisca prima di scatenare le loro piogge. Durante le otto riprese del match, Alì incassa tutto il possibile, ancora una volta fino al limite della resistenza umana (e continuando a sbeffeggiare l’avversario: “George, tutto qui?”), per poi vincere l’incontro.

Ha sempre vissuto e combattuto mettendoci tutta la sua umanità, per rimanere nella realtà umana, con tutti i suoi pregi e difetti. Per paura denigrava l’avversario, non si comportava bene con le donne, aveva slanci e umori mutevoli. Ma proprio per questo era amato, il più amato. Perché è stato sempre un uomo. E per questo è diventato leggenda. I pugni guantati verso il cielo alle Olimpiadi di Città del Messico nel 1968, distolgono dalla testa abbassata e dallo sguardo quasi sconfitto dei due atleti americani. Muhammad Alì non chinò mai il capo, non abbassò mai lo sguardo. Nemmeno alle Olimpiadi di Atlanta nel 1996 quando fu l’ultimo tedoforo. Senza paura di mostrare la malattia che lo stava demolendo. Sguardo sempre alto, fiero, senza paura. Vinceva ancora lui contro il Parkinson. Vinceva ancora il titolo mondiale quella sera.

Solo Michael Jordan saprà vincere come lui prima mentalmente e poi fisicamente le proprie battaglie, cambiando per sempre la nostra idea di sport.

Festivaletteratura