Apparteniamo alla terra e al mistero
12 9 2021
Apparteniamo alla terra e al mistero

La maschera della morte rossa di Poe tra le parole di Ilaria Tuti e i disegni di Eleonora Antonioni

«Bello eh, ma è una storia un po’ lugubre». I commenti al racconto di Edgar Alla Poe protagonista della serata, La maschera della morte rossa, rimbalzano tra le seggiole a Palazzo della Ragione poco prima che l’evento cominci. È sempre questo che succede quando ci prepariamo ad assistere a qualcosa che, in parte, conosciamo già: le aspettative, il pre-giudizio. Tuttavia, il fascino delle aspettative è che non vengono soddisfatte quasi mai. E infatti, quando più o meno un’ora dopo le luci si riaccendono, non si provano paura, angoscia, o timore, le sensazioni che chiunque si sarebbe aspettato di esperire ascoltando un racconto di Poe. Da queste letture si torna a casa o si esce in piazza quasi sollevati.

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Cos’è successo, dunque? È successo che, probabilmente, Ilaria Tuti è riuscita a fare quello che si era proposta all’inizio: trasformare il dolore in un enigma e poi risolverlo, scavare nell’oscurità,- che è quello che fa un racconto del mistero- parlare del male per esorcizzarlo. Il male, in questo incontro, si affronta con una doppia arma: la parola e l’immagine. Ad accompagnare le letture di Tuti, scrittrice di racconti del mistero, è infatti la fumettista Eleonora Antonioni, che quasi come accade in un albo illustrato dà forma e colore alle parole di Poe prima e a quelle di Tuti, poi.

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Perché leggere oggi La Maschera della morte rossa? La risposta più immediata potrebbe essere rintracciata nel fascino senza tempo dei racconti e delle suggestioni tipiche delle storie di Poe, in quella sua rara capacità di sviscerare i timori e gli istinti umani. Ma proprio in questi tempi, questo racconto, pubblicato nel 1845 nel Graham's Magazine, e oggetto di diversi adattamenti cinematografici (nel 1964 per la regia di Roger Corman, nel 1989 nella versione di Larry Brand) ci risulta probabilmente molto più vicino. Da marzo 2020, data da cui il mondo ha iniziato a contare appropriandosi di una nuova scansione temporale (prima e dopo il Covid), tanta letteratura è stata invocata, a ricordarci come pesti e pandemie siano state da sempre protagoniste delle pagine non solo di storia, ma anche di quelle della letteratura. Abbiamo scomodato e citato Saramago, Camus, i nostrani Manzoni e Boccaccio, ma questa peste che ci racconta Poe si presta a piani di lettura differenti.

L’espediente letterario non è nuovo: nel regno del principe Prospero imperversa la peggiore epidemia che si sia mai vista ma lui, creatura per natura felice e indomabile, non vuole rinunciare alla sua felicità. Si ritira in un castello insieme ad amici vigorosi e allegri e un po’ come i dieci giovani del Boccaccio, tenta di ingannare la morte. Pensa a tutto, agli arredi, ai colori delle stanze, al cibo e al vino, mentre fuori si muore di fame. Dopo alcuni mesi, organizza una festa. Tutto è perfetto se non fosse per quel gigantesco orologio che con i suoi rintocchi a ogni ora ricorda che il tempo passa e genere nervosismo tra gli invitati. È in questi rintocchi che anche i sogni si pietrificano, quasi a dirci che la morte arriva quando rinunciamo ai nostri sogni. A mezzanotte, compare una figura insolita, vestita in maniera troppo stravagante anche per quella festa: è la maschera della morte rossa, della peste che imperversa in città. Il suo costume pare un sudario e la maschera ricorda il volto di un cadavere vinto dalla morte. Il principe Prospero lo affronta, attraversa tutte le stanze e va verso di lui ma quando gli si getta addosso cade a terra esanime. Gli invitati lo imitano ma non c’è scampo per nessuno: inesorabilmente tutti cadono vittima della morte rossa.

Il racconto che Tuti ci legge è ascoltato dal pubblico con il naso all’insù, perché tra le parole lette con voce emozionate, proiettato si vede il disegno che realizza contemporaneamente Antonioni con i suoi acquarelli, un disegno decisamente rosso, decisamente mortifero.

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Con questo rosso Poe ci dice che non c’è scampo al tempo. Che il tentativo di preservare la felicità gelosamente davanti alla peste è un’illusione, ancora più folle è pensare di farlo da soli, preservando ognuno quello che è il nostro interesse.

Questo principe Prospero ci ricorda un po’ anche l’Ambrogio Spinola di Manzoni, il governatore di Milano interessato più alla guerra che alle dicerie sulla peste, a dispetto della quale indice una festa per la nascita del primogenito del re Filippo IV.

Ne abbiamo visti molti di Ambrogi o di Prosperi in questi ultimi mesi, di principi che si illudono di non provare paura. Ma la paura può salvarci. Lo sapeva bene Sallustio quando leggeva nel metus hostilis, la paura del nemico che i romani provavano verso i Cartaginesi prima delle guerre puniche, una sorta di collante sociale, una garanzia contro la corruzione della morale e dell’etica. La paura ci accomuna, ci stringe in una catena.

E stringersi in una catena è proprio quello che Tuti e altri scrittori hanno tentato di fare in questi mesi di pandemia. Si sono riuniti e hanno messo insieme dei racconti. È da questa raccolta che Tuti legge, a seguire, un suo racconto, Di terra e mistero. Dalle righe di questo testo gentile Antonioni tira fuori un nuovo disegno, questa volta è azzurro ed è piano di vita, vegetale e umana. Tuti, infatti, racconta con delicatezza quelle che sono state le sue riflessioni e le sue scoperte nei mesi di chiusura forzata, condividendo pensieri e sensazioni che hanno coinvolto ognuno di noi. Nelle righe che legge c’è la riscoperta del tempo lento, della cura, del giardino. C'è la scoperta della paura quando ci vengono sottratte le nostre vie di fuga. Ci legge di come abbia imparato ad ascoltarsi ma anche ad ascoltarsi e a comprendere che abbiamo bisogno di un’evoluzione convergente, come le farfalle. Ma soprattutto, riporta il racconto, è necessario stringerci leopardianamente in una lunga catena. È necessario fare l’opposto di quello che aveva fatto il principe Prospero. In quel testo, scritto ormai mesi fa, Tuti diceva a se stessa, come a rassicurarsi, che sarebbe tornato il tempo per vedere di nuovo la vita scorrere per le strada. Se siamo qui, osserva, «significa che questo sta già succedendo. Dobbiamo andare avanti, apparteniamo alla terra e al mistero».

Ad ascoltare il suo racconto, a vedere tutto il blu del disegno di Eleonora, appare infinitamente distante quel tempo di pandemia in cui la paura vinceva su tutto, in cui trovarsi insieme a parlare di letteratura e attraverso questa esorcizzare la paura sembrava un’utopia.

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