La scrittura come strumento per scavare nei rapporti familiari
I genitori sono luoghi estremamente difficili da abitare e lo diventano ancora di più quando non riusciamo a leggerne le mappe, ritrovandoci incastrati a navigare tra due sponde inconciliabili: quella dell’unione, della vicinanza, e quella opposta del distacco, alla ricerca della propria individuazione. Su questo dilemma senza fine si confrontano Donatella Di Pietrantonio, Premio Strega e Premio Strega Giovani dell’anno per L’età fragile (Einaudi, 2024), e Paolo Valoppi, scrittore esordiente con Mio padre avrà la vita eterna ma mia madre non ci crede (Feltrinelli, 2024), facendo intendere sin da subito che per trovare una risposta va abbandonata a priori la pretesa che dei punti fissi esistano. Ed entrambi concordano sul fatto che la loro produzione letteraria si nutra di queste contraddizioni e dei vuoti che i genitori hanno lasciato nelle loro storie personali.
Appartenenti a generazioni distanti nel tempo e con substrati familiari differenti, i due autori trovano incredibilmente simile il modo in cui la scrittura è stata la chiave per scavare nel loro passato e restituire un'idea più chiara di chi sono i loro genitori, chi sono loro e trovare un senso alle loro vite. Di Pietrantonio, classe ’62 proveniente dalla provincia abruzzese, figlia di contadini, fissa con lucidità una delle scene che per lei ha sancito l’inizio dell’incrinatura del rapporto tra lei e i suoi genitori: quello in cui da bambina guarda la madre, cercandone a sua volta lo sguardo, che invece è rivolto alla terra, al grano, e sente di essere invisibile agli occhi della donna che è il suo centro. L’unica spiegazione possibile per lei al venir meno di quello sguardo è che sia l’amore stesso a esserle stato sottratto; d’altronde la Donatella bambina non ha gli strumenti per guardare sua madre nel contesto più ampio in cui si trova a vivere, quello di una donna schiacciata dalle figure maschili e costretta nel suo ruolo sociale senza alcuna via di fuga. Perché, sebbene i genitori abbiano il potere di ferire i figli non comprendendo le loro richieste d’affetto, buona parte della frattura tra loro è dovuta all’inconoscibilità stessa dei genitori, al vissuto che precede la loro trasformazione in padri e madri e che per tutti noi è come una “pre-istoria” insondabile.
D’altra parte, anche lo sguardo dei figli può diventare un’arma contundente piuttosto dolorosa. Paolo, il protagonista del romanzo di Valoppi, ha un padre testimone di Geova e una madre dichiaratamente atea, due poli opposti che vedono stare in mezzo un figlio che non si fa coinvolgere nella fede paterna, verso cui prova una certa dose di vergogna. E la vergogna da intima diventa manifesta nel momento in cui il padre gli propone di accompagnarlo in giro nel quartiere e citofonare insieme alle case dei suoi amici per fare proselitismo: il modo in cui Paolo, terrorizzato che i suoi coetanei vengano a conoscenza di una verità che cerca a tutti i costi di tener nascosta, guarda il padre è inequivocabile e sul genitore cala il dispiacere di essere motivo di imbarazzo per il figlio. La vergogna genera essa stessa vergogna, una vergogna al quadrato che si intreccia con il senso di colpa, creando un circolo vizioso da cui non è affatto facile uscire.
Paradossalmente quanto più le relazioni tra genitori e figli sono piene di recriminazioni e acredine, tanto più è complesso lasciarsele alle spalle, e il legame si consolida man mano che si accumulano le incomprensioni, fatte di disamore, vergogna e di speranze disattese. Per Di Pietrantonio le aspettative sono nodi insoluti che cerca ancora di risolvere con la scrittura; hanno a che fare con l’essere una scrittrice e non aver aderito all’immagine della donna dedita alla casa, sempre a disposizione per sostenere le fragilità dei genitori nella loro vecchiaia. Per Valoppi, invece, la problematicità delle aspettative risiede nella loro permanenza nella mente dei figli: anche dopo che hanno deciso del proprio percorso individuale devono confrontarsi con le pretese dei genitori.
Non c’è quindi una strada univoca da seguire per smettere di sbattere tra due le sponde della vicinanza e del distacco, soprattutto quando ci si ritrova confusi ,in preda al contrasto tra emozioni discordanti e dolorose. Questo però crea anche delle opportunità. Dice Valoppi, citando Annie Ernaux:
«è la mancanza di senso di ciò che si vive nel momento in cui lo si vive che moltiplica le possibilità di scrittura»
E la ricerca di quel senso passa attraverso le domande che continuiamo a porre ai nostri genitori, alle loro risposte monche e alle parole che, come accade per i due autori, attraverso la finzione riscrivono la vita vera.
L'intervista di Donatella Di Pietrantonio con la redazione di Festivaletteratura