Capitalismo e ansia
10 9 2022
Capitalismo e ansia

L'evoluzione del sistema capitalista nei secoli secondo Donald Sassoon

Professore emerito di Storia europea comparata presso la Queen Mary University di Londra, Donald Sassoon è erudito saggista ad ampio raggio. Autore di recenti volumi sulla parabola dei partiti socialisti (Cent’anni di socialismo), sulla formazione secolare della cultura europea (La cultura degli europei), sulla traiettoria dell’integrazione europea (Quo vadis Europa?), sul significato storico delle crisi vissute dall’Occidente (Sintomi morbosi), Sassoon ritorna a Festivaletteratura dopo la pubblicazione in italiano del suo più recente, monumentale libro, Il trionfo ansioso: Storia globale del capitalismo.

Sollecitato dal giornalista di Domani Davide Maria De Luca, Sassoon inizia la sua disamina collocando negli anni Sessanta dell’Ottocento gli eventi che fondano la dominanza globale del “modo di produzione capitalista”: l'unificazione di Italia e Germania, ma anche la svolta del Giappone e della Russia zarista verso l’industrializzazione e verso più moderne strutture politiche, rispettivamente con la Restaurazione Meiji in Giappone e l'emancipazione dei servi della gleba.

Il capitalismo globalizzato, che per natura è proteiforme e sa mutare parte dei propri fondamenti, adattarsi a diverse circostanze, inglobare le innovazioni, a parere di Sassoon ha proprio per questa ragione un’ansia di fondo come caratteristica connaturata, che dà il titolo al saggio dell’autore britannico. Per funzionare, il modo di produzione capitalista ha bisogno di evolvere costantemente, in maniera graduale o attraverso più drastiche crisi, selezionando di volta in volta innovazioni più efficienti che determinano “vincitori” e “perdenti” nelle società e fra di esse. Nel sistema capitalista, insomma, nessuno può contare su una posizione sicura al riparo dal vento del cambiamento.

Nell’analisi sassooniana del capitalismo in prospettiva storica trova spazio anche la ricostruzione del ruolo giocato dai partiti socialisti, paradossalmente, nell’affermazione del capitalismo stesso. Non furono d’altra parte i soli socialisti a implementare le riforme che avrebbero portato alla nascita del welfare State, lo “Stato del benessere”, che ebbe per precursore il conservatore Otto von Bismarck e per importanti ideatori nel Regno Unito liberali quali David Lloyd George e William Beveridge, prima dei governi laburisti di Clement Attlee. Come affermato da Sassoon in una precedente intervista, furono comunque le forze politiche socialiste ad ottenere i massimi risultati nel radicare il capitalismo attraverso riforme che lo rendevano socialmente più sostenibile:

«[I socialisti] avevano adottato una strategia per cui, pur rimanendo ideologicamente anticapitalisti […] nella realtà miravano alle riforme, alla crescita del welfare, a zone di difesa del sociale e soprattutto alla redistribuzione di alcuni beni sulla base del principio socialista di “dare a chi ha bisogno e non solo a chi può pagare”, principalmente per quanto riguarda due beni centrali come la salute e l’educazione. Per fare questo occorreva che il capitalismo funzionasse bene. Anzi, più funzionava e meglio era. Il paradosso, dunque, era che questi partiti (di tradizione anticapitalista) in realtà ottenevano ottimi risultati con l’ulteriore crescita del capitalismo. Il capitalismo cresceva, c’erano più soldi a disposizione da tassare facendo così funzionare il welfare state».

Sassoon, che muove da un’appartenenza di lungo corso alla tradizione del socialismo, problematizza di conseguenza le proprie posizioni nei confronti del capitalismo dominante. Come aveva anticipato in un’intervista al quotidiano La Repubblica, «il sistema di produzione capitalistico oggi trae la sua legittimazione dal fatto che 150 anni fa a giovarsene era il 20 per cento della popolazione, mentre oggi il rapporto è rovesciato: a fronte d'un 20 per cento di perdenti, l'80 per cento della collettività sta molto meglio di nonni e bisnonni». Il problema si pone nel momento in cui l’espansione della società dei consumi porta un miliardo e mezzo di abitanti della Cina a desiderare gli stessi comfort dell’Occidente – un’automobile a testa – proprio quando si palesano in tutta la loro gravità le incompatibilità con i limiti del pianeta. Il capitalismo, nota amaramente Sassoon, ha finito per far stare meglio la maggior parte di una popolazione mondiale sempre più numerosa, ma a quale prezzo?

In un mondo in cui le analisi storiche e sociali, specialmente in ambito accademico, sono spesso portate allo specialismo e allo studio di fenomeni circoscritti, l’analisi di Sassoon ha il grande pregio di tenere in sé considerazioni sulla storia del pensiero europeo, sull’evoluzione industriale e produttiva, sul rapporto tra politica e società, che situano la sua comprensiva disamina del capitalismo all’interno di una fittissima rete di riferimenti e di evidenze empiriche. Prova ne sia che, ben presto, il saggista viene sollecitato anche dalle domande di un pubblico ben deciso a capire come convogliare le lezioni della storia nell’interpretazione di fatti presenti quali Brexit e l’ascesa della Cina. Domande, queste, cui Sassoon risponde con la finezza di un garbato umorista.

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