Chi ha paura del fumetto?
10 9 2022
Chi ha paura del fumetto?

Book Tour di Andi Watson fra le provocazioni di Giacomo Bevilacqua e Zerocalcare

Già all’evento di venerdì 9 «Il fumetto che riflette il mondo» si intuiva quale sarebbe stato il tono della chiacchierata kafkiana fra Zerocalcare e Giacomo Bevilacqua: il primo sul palco, il secondo a disturbarlo dal pubblico con domande a caso. In questa occasione i due fumettisti romani condividono invece la scena per parlare di Andi Watson e della sua enigmatica graphic novel Book Tour. Simonetta Bitasi, nel preludio all’evento, ne racconta la genesi: discutendo con Bevilacqua su chi fosse il colpevole della storia, ha pensato di proporre all’autore inglese di parlarne estendendo l’invito a Zerocalcare. Watson chiarisce: lo scopo non è trovare il colpevole. Potrebbe essere ogni personaggio così come potrebbe essere ognuno di noi. È una black comedy esistenziale senza risposta che mette in scena i sensi di colpa di un assassino solo ed alienato. Ma è divertente.

L’incontro è un continuo susseguirsi di provocazioni fra i due fumettisti italiani, con Watson che cerca di barcamenarsi fra le incomprensioni e Bitasi che prova a sedare l’esuberanza di Bevilacqua. Questi nota che in Book Tour il protagonista si trova a fare incontri da solo - «una delle più grandi paure di noi autori» - e commenta come questo avvenga sempre negli incontri insieme a Zerocalcare: per l’autore di Kobane Calling una lunghissima fila, per lui nessuno. Per difendersi, Zerocalcare lo accusa di vittimismo e racconta di alcuni festival all’estero in cui i fan erano ben pochi, «nonostante tu mi dipinga come “i poteri forti” del fumetto». Anche a Watson è capitato. «È imbarazzante, soprattutto per un inglese».

Prima di questa graphic novel, Watson ha scritto altri fumetti meno noti. In futuro ci sarà qualcos’altro legato a Book Tour, un sister-book pensato non per fornire risposte ai dilemmi irrisolti del libro, ma per dare nuove domande. Zerocalcare riflette sull’efficacia della definizione di sister-book: spesso gli chiedono se lavorerà a prequel o sequel dei suoi lavori o della sua serie su Netflix, ma questo è impossibile perché molte di queste storie sono auto-conclusive. Pensare invece ad una «storia-sorella» o a una «serie-sorella» non vincola la produzione artistica a rapporti di sequenzialità: permette tuttavia di operare nello stesso contesto. Lavora similmente Bevilacqua, la cui serie di fumetti A Panda Piace non consta di seguiti ma di vicende appartenenti allo stesso universo.

La nona arte può essere uno strumento per addomesticare l’ansia, anche se con il tempo si aggiungono pensieri e preoccupazioni. Specifica Zerocalcare: «per i maniaci del controllo fare fumetti è l’attività più controllante e manipolatoria al mondo. Si mettono in scena personaggi che dicono quello che l’autore vuole». Questo placa un tipo di ansia ma solleva la questione della performance, perché c’è un continuo cimentarsi con il giudizio altrui. «Ci sono cose che uno si porta appresso che non si risolvono con i fumetti», ammette Zerocalcare.

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Bevilacqua racconta di come la lettura di Book Tour gli abbia ricordato l’invidia provata per il collega fumettista compaesano, che è nato lo stesso anno (ma sei mesi dopo) e vive nella stessa città. C’è stato un bivio: da un lato la possibilità di essere sempre invidioso, dall’altra la volontà di conoscere l’autore e diventare suo amico, com’è successo da molti anni. Bitasi osserva invece come il grande merito del libro di Watson sia stato l’uso dell’ironia per scrostare il sacro dalla scrittura. «Il fumetto è religione per me. Ma rimane gente che parla nelle nuvolette» ammette l’autore britannico. «Prima penso alla storia che voglio raccontare. Poi allo stile. I due devono integrarsi e questo non è scontato». Ma quando accade, si ottiene un connubio artistico ideale per il racconto del reale nelle sue plurime sfaccettature.

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