Come on baby, write my fire
10 9 2022
Come on baby, write my fire

La rassegna «Il fuoco sacro della scrittura» dà alle fiamme tutti i luoghi comuni sulla scrittura

Ma quanti sono i luoghi comuni sulla scrittura? Quelli che ricorrono da sempre in qualsiasi corso, manuale, manifesto… Scrivi di quello che conosci. Scrivi ogni giorno. Trova il tuo genere. Parti da uno schema dei personaggi. Un fiume di parole, di concetti disincarnati, che affascinano noi lettori, ma che è difficile visualizzare davvero. Ma c’è una soluzione: andiamo a chiedere che ne pensano i nostri scrittori preferiti, per i quali questi concetti rappresentano la versione distillata (e forse un po' idealizzata) della loro realtà di tutti i giorni.

La rassegna Il fuoco sacro dalla scrittura parte proprio da questa idea: porre queste domande dalle mille risposte possibili ad alcuni degli scrittori presenti al festival. Così, da “fuoco sacro”, incontro dopo incontro la scrittura si è svelata come un fuoco molto più terreno, un caminetto di fronte cui sedersi e scaldarsi quando la vita “vera”, quella fuori dai libri, diventa un po’ freddina.

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Si comincia con Elisabetta Bucciarelli, che in dialogo con Christian Mascheroni ha sottolineato che prima di ogni cosa per lei la scrittura sia necessità. Un semplice e inequivocabile bisogno di raccontare storie, di comunicare. Tanto che Bucciarelli afferma di scrivere mentalmente in qualsiasi momento, anche mentre è lì seduta con noi, alla Tenda dei libri. E chissà se qualche volto delle prime file non finirà in uno dei suoi racconti, prima o poi.

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Dopodiché è il turno di Sabrina Efionayi, in dialogo con Elsa Riccadonna: anche per lei la miccia che fa divampare il fuoco della scrittura è la volontà di comunicare. Dopo un’infanzia da bambina molto timida, la giovanissima Sabrina ha trovato nella scrittura la volontà di uscire dalla timidezza e rifugiarsi nel mondo esterno. Tra la scrittura di denuncia e la scrittura privata e terapeutica, tra le sessioni di scrittura notturna e quelle nei bar affollati di Napoli, scrivere per lei rimane sempre e comunque un atto di fiducia nei confronti dei lettori, un’apertura coraggiosa verso l’ignoto.

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Infine tocca a Anne Enright sedersi sotto la Tenda dei libri: una piccola signora irlandese dai lineamenti scolpiti e dagli occhi ridenti, che ci racconta che lei scrive molto poco alla scrivania – le sembra lavoro, non qualcosa di creativo! – e preferisce di gran lunga il divano, anche se a volte si siede perfino a terra, per cercare di vedere le cose da un’altra prospettiva. Enright, infatti, non crede nell’ispirazione, crede in un assai più prosaico sedersi di fronte al computer e scrivere, come se la tastiera del computer fosse in realtà un pianoforte, che a forza di strimpellare produrrà prima o poi una sinfonia. Come dice lei stessa, facendo esplodere un applauso, «credere nell'ispirazione è come credere in Dio; c'è quest'idea di una possessione divina che ti prende, ma le mie storie le possiedo io».

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Assieme a loro, anche molte e molti altri scrittori hanno aperto le porte dei loro studi, hanno spalancato i loro quaderni e i loro laptop e ci hanno guidato alla scoperta delle loro ispirazioni, motivazioni ed emozioni, ma anche della loro quotidianità, svelando la letteratura come qualcosa che può anche essere una professione come tante altre. Che è un po’ lo scopo ultimo dei festival letterari, in fondo: unire la spaccatura tra la vita dei libri, fatta di carta e inchiostro, e la vita vera. Dopotutto, ora sappiamo che non è solo la carta a bruciare, ma anche l'anima degli scrittori.

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