Come si costruisce una nuova vita?
7 9 2024
Come si costruisce una nuova vita?

Deborah Levy scardina ogni dualismo comportamentale e linguistico, restituendo al lettore una protagonista libera da ogni vincolo sociale

Natalia Ginzburg scriveva: «le donne hanno la cattiva abitudine di cadere ogni tanto in un pozzo, di lasciarsi prendere da una tremenda malinconia e affogarci dentro, per poi lottare disperatamente per risalire: questo è il vero guaio delle donne». Con queste parole, Claudia Durastanti (scrittrice e traduttrice) apre il dialogo con Deborah Levy (scrittrice, poetessa e drammaturga britannica).

Era il 1948, pochi anni dopo la conquista del suffragio universale, e l'idea che le donne dovessero nascondere alcune delle loro peculiarità era ancora largamente diffusa. Prevaleva un dualismo rigido e incontrovertibile, le donne erano costrette a scegliere tra due opzioni. Citando Matrix (1999): «Pillola blu, e tutto finisce: domani ti sveglierai nella tua stanza e crederai a ciò che vorrai. Pillola rossa, e resterai nel Paese delle Meraviglie, scoprendo quanto è profonda la tana del Bianconiglio».

In questo caso, però, la pillola blu serviva a reprimere la vergogna, il desiderio e qualsiasi altro tratto che le distanziasse dal ruolo sociale loro imposto; la pillola rossa, invece, offriva l'accesso a quella “tana” (o pozzo) permettendo alle donne di confrontarsi con se stesse e comprendere davvero la propria identità.

Nella letteratura di Deborah Levy, al contrario, non c’è dualismo che tenga. Il personaggio femminile che porta in scena è tutto, è moltitudine. «Deve essere spregiudicatamente forte il lunedì e fragile il mercoledì», spiega. Quanto alla vergogna, Levy incoraggia le donne a smettere di deridere i propri desideri. Non siamo più nella distopia di Zion o nel 1948 della Ginzburg: oggi non dobbiamo scegliere una sola opzione. Essere donne non è una colpa né un ostacolo. Le donne non possono e non devono limitarsi a un unico ruolo, non per volontà altrui quantomeno. Devono rivendicare il diritto di essere ascoltate e di partecipare attivamente alla costruzione di una società che permetta loro di esprimersi pienamente, senza essere costrette a scegliere tra amore e libertà, tra famiglia e lavoro.

Deborah Levy, con una delicatezza quasi eterea, esorta le donne ad abbandonare la paura, quella stessa paura che lei ha dovuto affrontare prima di scrivere la sua autobiografia in movimento (Cose che non voglio sapere, 2013; Il costo della vita, 2018; Bene immobile, 2021; tutti i volumi editi da NNE). «Dovevo trovare la mia voce. Una volta trovata, sono andata oltre. Oltre la vergogna».

I tre libri che compongono il memoir dell’autrice sono un excursus che parte dai suoi quarant'anni fino ai sessanta. La narratrice è prima sposata, con due figlie, poi divorziata, e la domanda che la segue è: come si costruisce una nuova vita?

Ogni libro inizia con un racconto di esperienza reale. Ne Il costo della vita, una giovane donna si confronta con un uomo adulto, più grande di lei e - al contrario di quanto ci si aspetti dal galateo della donna silenziosa e accomodante - la donna si fa spazio nella conversazione, lo zittisce e «torna in superficie». L’uomo, cercando di riprendere la conversazione, inciampa nel tavolo dove la giovane tiene un libro, lo stesso che stava leggendo prima che l’uomo la invitasse a sedere con lui. Il libro cade a terra e Deborah Levy può finalmente scorgere il titolo: A nuoto verso casa (Garzanti, 2013) di Deborah Levy.

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