Da remoto
12 9 2020
Da remoto

Il migliore dei Festival possibili

Da sempre Festivaletteratura segna per me la fine dell’estate. Quest’anno lo vivo da casa, dove d’altronde ho passato buona parte del tempo negli ultimi mesi. Lavoravo, in questi primi giorni di Festival, e la nuovissima esperienza della radio mi faceva compagnia. È strano essere seduti alla propria scrivania e sentire voci amiche raccontare il Festival, introdurre gli ospiti, commentare gli eventi. È strano perché vorresti essere lì - come ogni settembre degli ultimi dieci anni - a condividere storie, incontrare vecchi amici, fare nuove esperienze, incrociare nuove idee.

Nei ritagli di tempo ho ascoltato Judith Butler e Maura Gancitano parlare di non violenza come forma di azione; ho ascoltato David Quammen e Telmo Pievani discutere sulla necessità (ora più che mai chiara) di preservare gli ecosistemi per preservare la nostra specie; ho visto Chiara Valerio e Michela Murgia portare in scena il format Buon vicinato, nato durante il lockdown, e sfidarsi in un avvincente duello verbale sull’utilità dei festival letterari. Ma è difficile sentirsi veramente a Mantova senza camminare per le sue piazze, le sue chiese e i suoi palazzi. Riuscirò a orientarmi senza i cartelli blu che indicano Palazzo Ducale e la Casa del Mantegna? Mi sentirò davvero partecipe senza il pass da volontario al collo?

Poi finalmente arriva il weekend e posso mettermi seriamente all’ascolto. Inizio il mio sabato facendo colazione con Chiara Valerio che parla del potenziale rivoluzionario della matematica in diretta da Piazza Sordello. Una passione che è nata «per amore di un’altra [la professoressa di Matematica, ndr] e per ripicca [per non essere entrata alla facoltà di Lettere della Normale di Pisa]», racconta Valerio in questo breve accento che tocca i temi del suo ultimo pamphlet La matematica è politica (Einaudi, 2020).

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L’incontro che aspetto davvero, però, è una delle Interviste Impossibili in programma per la giornata di sabato: a mezzogiorno c’è Andrea Moro che dialoga con Noam Chomsky. La conversazione tra i due ripercorre la storia della Linguistica dagli anni Cinquanta a oggi, attraverso alcune delle più importanti teorie sviluppate in questi settant’anni e gli esperimenti condotti negli ultimi decenni nell’ambito delle neuroscienze per capire il funzionamento del linguaggio. Si discute del rischio del riduzionismo (ovvero la tendenza a ridurre tutti i fenomeni vitali a un unico sistema teorico) e di come già in passato ci si sia resi conto che la scienza è una disciplina inesatta, che non può avere una risposta per tutto.

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«Come i topi, per quanto intelligenti, non capiranno mai il concetto di numero primo» dice Chomsky, «dobbiamo rassegnarci all’idea che ci sono cose che forse non capiremo mai. Il linguaggio potrebbe essere una di queste». Quello che possiamo fare è continuare a cercare la migliore delle ipotesi possibili. Sono nostalgica, di questi tempi, e mi ritrovo a pensare che in fondo è così un po’ per tutto: in un anno come il 2020, questa è la migliore versione di Festivaletteratura possibile. Non c’entra niente, lo so, ma mi consolo.

Pranzo e poi sbrigo un po’ di faccende di casa. Ascolto la radio del Festival intanto, mi sintonizzo ed è il momento del Cabaret Letterario: ci sono Simonetta Bitasi e Angelo Orlando Meloni che come ogni giorno mettono sotto torchio qualche autore. Oggi è il turno di Paolo Colagrande e Desy Icardi. Entrambi hanno scelto un brano umoristico da leggere ai microfoni (Colagrande legge un brano di Salto Mortale di Luigi Malerba; Icardi invece ha scelto il racconto Una telefonata di Dorothy Parker) e poi si lasciano coinvolgere nel test “Io non ci volevo venire qui”: sei domande scomode sulla loro vita da scrittori, da «Come ti comporti quando ti chiedono una foto?» a «Perché scrivi?» a «Qual è la cosa che temi di più durante una presentazione?».

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Salto da un programma all’altro della radio, ascolto con piacere Alessandro Barbero e Samantha Cristoforetti ospiti di Giusto in tempo, raccontare di viaggi nella Storia e nello Spazio, ma c’è un appuntamento che attira la mia attenzione: è la puntata giornaliera di Archivi: ieri, oggi, domani con ospite Barbara Bergaglio, responsabile del Dipartimento Archivi di CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia. Dialoga con Danilo Craveia del passato della fotografia, del suo presente e soprattutto del suo futuro. Devo uscire, ma sono affascinata dall’argomento: costringo il mio amico Emanuele a condividere gli auricolari e ascoltare con me mentre camminiamo. Sono i social network ad aver reso le immagini protagoniste della comunicazione contemporanea? Gli smartphone ci hanno resi tutti fotografi? Cosa fotograferemo in futuro? E come archivieremo le immagini?

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Sono alcune delle domande che mi restano più in testa, mentre penso che non avrò nemmeno una foto ricordo di questa edizione del Festival.

Torno a casa dopo cena e accendo lo streaming per una conversazione tra Stephen Fry e Peter Florence. Si parla di Mythos e Eroi, le opere con cui Fry -comico, attore, presentatore televisivo, sceneggiatore, saggista e romanziere- ha recentemente riproposto la mitologia classica. «I miti sono sempre suscettibili di nuove interpretazioni» spiega Fry, interrogato sulla sua scelta. «Quello che le rende universali è la loro atemporalità: una storia ambientata negli anni Venti può avere un messaggio sempre valido, ma diventa subito datata. Con i miti questo non succede». I miti come qualcosa di remoto, che ci riporta alle nostre origini pur avendo sempre qualcosa di nuovo da dire.

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Proprio il luogo da cui ho vissuto Festivaletteratura io quest’anno: da remoto, da lontano. Ma anche il luogo in cui anche quest’anno il festival mi ha portato: remoto, lontano.

Festivaletteratura