Dalle guerre in campo aperto alla guerriglia urbana
7 9 2016
Dalle guerre in campo aperto alla guerriglia urbana

Come sono cambiati i luoghi di guerra dalla seconda guerra mondiale all'Isis

Antony Beevor ha ottenuto molti riconoscimenti per le sue opere storiche, tradotte in diverse lingue e vendute in tutto il mondo. Cavaliere de l'Ordre des Arts et des Lettres, dopo una formazione accademica e una breve carriera militare, ha ottenuto svariati titoli accademici onorari. In particolare, le sue opere Ardenne 1944, sull'ultimo disperato contrattacco operato da Hitler, Stalingrad, sull'assedio della città nel 1942 e La Guerra Civile Spagnola ne fanno uno degli autori di riferimento per la storiografia dello scorso secolo.

Il suo ultimo filone di ricerca riguarda le zone di guerra: tradizionalmente portati avanti in campo aperto, i conflitti stanno sempre più spesso interessando le realtà urbane. E' un processo che ha diversi motori e che può essere compreso in prospettiva storica: il numero di megalopoli è in espansione sia a causa delle migrazioni dei poveri nei paesi meno sviluppati, sia a causa del miglioramento delle condizioni di vita in molti paesi in via di sviluppo, che sono caratterizzati da veri e propri baby boom. E, se ai tempi delle guerra napoleoniche nessun soldato aveva mai visto una grande città, oggi la strategia di diversi gruppi terroristici va verso lo spostamento del conflitto negli spazi urbani.

Fino alla seconda guerra mondiale, infatti, i generali cercavano di evitare gli scontri nelle città perché le armi a disposizione erano inadatte, ma anche perché l’accesso all’alcol rendeva i soldati molto meno propensi a seguire la disciplina militare. Il caso dell’assedio di Stalingrado, per esempio, testimonia le condizioni durissime sia per gli assedianti che per gli assediati. I primi, che avevano bombardato la città, si trovavano a fronteggiare rovine perfette come nascondiglio per armi anticarro e truppe nascoste nella cantine e nelle fogne. I secondi, ridotti allo stremo, al punto da sparare ai bambini che, blanditi dai tedeschi che offrivano loro croste di pane in cambio di acqua, cercavano di sopravvivere anche familiarizzando col nemico.

Ma per quanto la storia possa insegnare, non si può pensare che abbia carattere predittivo: così chi immaginava che l’assedio di Baghdad, nella seconda guerra irachena, sarebbe stato come quello di Sarajevo, sbagliava. Qui l’alleanza costruita contro Saddam Hussein risparmiò le case sia per motivi umanitari che per il controllo delle televisioni internazionali. Ma queste case sono diventate il perfetto nascondiglio per una resistenza formata spesso da ex soldati dell’esercito iracheno, smantellato troppo in fretta. Oggi gli attentati nelle grandi città occidentali e, anche, l’asserragliarsi dei combattenti dell’ISIS nelle città controllate, fanno pensare che in futuro saranno sempre più le città a essere scenari di lotta. Da un lato, infatti, non si può pensare di fermare al confine un nemico che è già dentro le mura delle nostre società. Dall’altro, sarà molto difficile bonificare città come Mosul, lastricate di ordigni rudimentali che, ancora molto dopo la possibile sconfitta dell’ISIS, porteranno i segni di un vero e proprio teatro di guerra.

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