Dare voce alle sorelle ribelli
12 9 2021
Dare voce alle sorelle ribelli

Dialogo sulla Sicilia, le sue parole e le sue donne tra Simonetta Agnello Hornby e Maria Attanasio

Quando si pensa alla Sicilia in un festival della letteratura, la memoria di ogni buon lettore si riempie. Il panorama è vastissimo, si mescola ai retaggi scolastici, Verga, Pirandello, Sciascia, Tomasi di Lampedusa a quelli meno antologizzati ma comunque amatissimi, Bufalino, Vittorini, Camilleri, solo per citarne alcuni. Scrittori diversissimi nello stile, nei temi, alcuni anche nel tempo, eppure tutti marchiati da questa isola madre. Sembra impossibile non scrivere della Sicilia, se nasci in Sicilia. Sarà per quell’ubriacatura di bellezza e tristezza a cui accenna una delle due voci della letteratura siciliana contemporanea, ospiti oggi a Palazzo san Sebastiano, Simonetta Agnello Hornby. Insieme alla scrittrice, autrice di titoli come Caffè amaro, La mennulara, Piano nobile, la poetessa e scrittrice di romanzi a sfondo storico Maria Attanasio (La ragazza di Marsiglia, Lo splendore del niente e altri storie, Il falsario di Caltagrone).

Con loro arriva la Sicilia a Mantova, arriva la Sicilia donna, intervistata da Luigi Caracciuolo.

La Sicilia si manifesta anzitutto con le sue parole. La parola siciliana è per Hornby anzitutto quella degli affetti «se devo parlare con mio figlio lo chiamo 'coruzzo mio', 'cuore mio' lo dico al medico». A casa sua, a Londra, ai figli non ha insegnato l’italiano, ma il dialetto siculo. Sarebbe stato impossibile per loro passare i mesi estivi nell’isola senza rischiare incomprensioni. Sebbene viva ormai in Gran Bretagna da anni, anche la sua scrittura non riesce a liberarsi dalla parola siciliana, che spesso esce da sé senza che la scrittrice si renda davvero conto che quello che scrive non sia italiano.

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Ma la parola è anche luogo, è portatrice della memoria del posto, spiega Attanasio: è matrice. Proprio per questa specificità, non è possibile accumunare gli scrittori siciliani sotto un’unica linea stilistica, ogni scrittore ha un suo siciliano, uno stile fortemente personale e condizionato dal suo angolo insulare.

La Sicilia arriva anche con le sue donne, spesso protagonisti cardinali dei romanzi delle due scrittrici. Sono donne diverse quelle che Agnello Hornby e Attanasio fanno muovere nelle proprie storie. La prima sceglie donne che sono specchio delle dinamiche familiari siciliane. Sono 'perno', tanto più necessario quanto più questi personaggi femminili appartengono a una famiglia di basso rango sociale. Spesso però questo loro ruolo deve essere velato sotto la figura maschile, con formule tipo «il ragioniere dice questo».

Maria Attanasio, preferisce invece donne ribelli, come Rosalia Montmasson, l’unica donna a partecipare alla spedizione dei Mille, protagonista de La ragazza di Marsiglia.

Queste donne dissidenti, in prima linea, sono donne «che ci sono state. Noi abbiamo l’idea della donna rassegnata ma basta pensare al Risorgimento per rendersi conto di quante donne abbiano voluto la divisa». È a queste «sorelle» a cui Attanasio vuole restituire voce. Donne che ci sono state e ci sono ancora oggi. È inevitabile toccare allora, anche solo di sfuggita, la questione di genere. «Le ragazze hanno fatto passi da gigante, ma restano ancora passi da fare, la donna ancora si aspetta che l’uomo la mantenga» commenta Agnello Horby.

Ecco allora che, nella lettura della scrittrice la donna diventa un po’ come la Sicilia, i cui abitanti in Piano nobile Peppe Vallo definisce come pieni di «indolenza, fatalismo, rassegnazione, prigionieri di un passato che a loro non è mai appartenuto». I siciliani sono stati sempre conquistati, e quest’idea di naturale sottomissione è restituita dalla scrittrice con l’immagine della mamma che teneva sempre la tovaglia più bella per “quelli di fuori”. Questo è un peccato, la Sicilia dovrebbe avere il coraggio di imparare a fare quello che Simonetta ha insegnato alla madre: usare la tovaglia più bella per i pranzi in famiglia.

Anche perché, puntualizza Attanasio, la Sicilia non è quella semplificata dal gattopardiano 'se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi'. Quella è solo la Sicilia aristocratica di Tomasi di Lampedusa, e si omette sempre la parte precedente di quella sentenza pronunciata da Tancredi allo zio: “se vogliamo che quelli non facciano la rivoluzione”. Già perché la Sicilia è stata anche una terra di proteste, è Engels a scrivere che la prima rivoluzione di classe è stata quella dei fasci siciliani. La storia è scritta da chi vince, ma c’è molta storia non raccontata di tutti quei siciliani che non sono stati solo protagonisti passivi del loro destino.

Come per le donne allora, è necessario fare ancora altri passi, essere orgogliosi, fare di tutto per dire che siamo tutti uguali, non “Affruntarisi” di essere siciliani, di essere donne. Liberarsi dalla vergogna.

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