Di letteratura e bellezza
20 2 2016
Di letteratura e bellezza

Un ricordo di Umberto Eco, intervenuto a Mantova nel 2000 e nel 2004

I tanti "io c'ero" che continuano ad apparire sulle bacheche dei nostri Social in queste ore strappano più di una lacrima, rendono meno difficile l’omaggio a una grande figura intellettuale che ci abbandona, ci riavvicinano anche negli spazi virtuali della rete a un fiore di lettori che vorresti abbracciare a uno a uno. Il Festival, in fin dei conti, non è stato e non sarà altro che questo: condividere una piccola fratellanza fatta di momenti (e parole) indimenticabili sotto il grande ombrello della letteratura.

Insieme a Umberto Eco, di momenti così, ne abbiamo vissuti due, nel 2000 e nel 2004, quando Piazza Castello traboccava di giovani e anziani, magliette blu e persone accorse da tutta Italia per ascoltare "il professore", il filosofo, il romanziere, l'esteta, il profondo interprete delle più sottili sfumature del linguaggio; la sintesi, insomma, di tutte quelle espressioni intellettuali che a Mantova hanno sempre trovato sia uno spazio che un pubblico appassionato, intelligente, partecipe.

La prima lectio, nel 2000, riguardava «alcune funzioni della letteratura», come lo stesso Eco teneva a precisare, e verteva sulla letteratura intesa soprattutto come esercizio della lingua e come esercizio di fedeltà e rispetto del testo nella libertà dell’interpretazione, andando a tracciare l'identikit di un «potere immateriale» il cui valore continua a riverberarsi sulla vita dell'individuo e della società. «Racconta una leggenda, che se non è vera è ben trovata, che una volta Stalin abbia domandato quante divisioni aveva il Papa. Quello che è successo nei decenni successivi ci ha mostrato che le divisioni son certo importanti in date circostanze ma non sono tutto. Ci sono dei poteri immateriali, non valutabili a peso, che in qualche modo "pesano". Siamo circondati di poteri immateriali e non si limitano a quelli che chiamiamo "valori spirituali", come una dottrina religiosa. Un potere immateriale è anche quello delle radici quadrate, la cui legge severa sopravvive ai secoli e ai decreti non solo di Stalin, ma anche del Papa. E tra questi poteri annovererei anche quello della tradizione letteraria, vale a dire del complesso di testi che l’umanità ha prodotto e produce non per fini pratici – come tenere registri, annotare leggi e formule scientifiche, verbalizzare sedute o provvedere a orari ferroviari – ma piuttosto gratia sui, per amore di sé stessi, e che si leggono per diletto, per elevazione spirituale, per allargamento delle conoscenze, magari per puro passatempo».

Altrettanto memorabile, per il pubblico del Festival, fu il secondo intervento di Eco in Piazza Castello nel 2004 (qui la cronaca dell'incontro). Chi presenziò in quell'occasione ricorderà l'avvincente itinerario per immagini legato all'uscita del saggio Storia della bellezza, che prese corpo in quei tempi dopo quarant'anni di studi. «Noi – asserisce Eco all'inizio dell'evento – usiamo continuamente la parola "bello" per dire "una bella bistecca", "una bella giornata", "una bella notte d’amore", "un bel bambino", e così via. Vedete quindi che ci troviamo in un intrico di problemi, come già sa chi studia estetica. Alla fine mi sono accorto che noi, per muoverci nel mondo, giochiamo su pochissimi aggettivi (bello, brutto, buono, cattivo) coi quali copriamo tutto. Proprio per questo, in filosofia, quando uno deve definire cos’è il buono, cos’è il male, cos'è il bello, ci passa la vita o i secoli!».

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