E se è un'A.I. si chiamerà Futura
8 9 2022
E se è un'A.I. si chiamerà Futura

Quanto sarà umana la futura umanità? Rispondono Maurizio Ferraris, Giuseppe Anerdi e Paolo Dario

Nel giro di pochi anni l’intelligenza artificiale è passata da essere una prospettiva fantascientifica ad una componente importante delle nostre vite: i dispositivi tecnologici sono sempre più integrati nel corpo umano e ci fanno fantasticare sui possibili sviluppi. L’internet delle cose - non sono solo elettrodomestici, ma anche smartphone, tablet e protesi del corpo. Questa convergenza è sempre maggiore: non è solo il mondo digitale, i dati, che si stanno fondendo con il mondo reale, ma è anche la tecnologia che si sta sempre più integrando con il corpo umano. Quali timori sono legittimi e quali mal riposti? Quanto sarà umana la futura umanità?

A rispondere a questi quesiti sono gli ingegneri Giuseppe Anerdi e Paolo Dario, tra i massimi esperti mondiali nel campo della robotica, autori del recente Compagni di viaggio, in un dialogo con Maurizio Ferraris, eminente filosofo autore di Documantità a Festivaletteratura.

«I robot erediteranno la Terra? Sì, ma saranno i nostri figli» Marvin Minsky.

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L’ipotesi di creature artificiali che coabitino assieme agli uomini è ancestrale: Aristotele discute di come la realizzazione di intelligenze artificiali avrebbe permesso di eliminare la schiavitù, immaginando i robot come un sostituto sottoposto ad un’addomesticazione. Non importa che abbia coscienza dell’obiettivo da perseguire, l’importante è che lo esegua. Un cervello meccanico che segua algoritmicamente una serie di passaggi, che operi su input computabili. «Artificiale lo è, forse non intelligente: sa trattare dei dati ma non ha coscienza di sé» ricorda Giuseppe Anerdi.

Il rischio che i "servi muti" possano sostituire il lavoro umano e costituire un problema sociale è tangibile, ma non troveremo mai un computer che può prendere il potere, poiché le dinamiche tipiche del potere sono umane: i robot non sono degli organismi, senza una prospettiva sociale non si può sviluppare un’intelligenza. I computer non sono soggetti a pulsioni quali desiderio, ansia o paura della morte, ma sono intenzioni che provengono solo dall’elemento organico. Il timore che i robot possano sopraffarci è ereditato dal falso topos filosofico che siamo schiavi della tecnica: siamo esseri umani nella misura in cui siamo dotati di tecnologia. Non c’è carattere più umano che non sia l’utilizzo di apparati tecnici, l’essere umano comincia ad essere tale quando inizia a supplire ai limiti di forza con la tecnica – si pensi al bastone o alla ruota. L’unica cosa che non più essere automatizzata è il consumo. Senza i consumatori il sistema crolla.

«Siamo noi umani ad essere più simili alle intelligenze artificiali più di quando non vorremmo ammettere. La vita sociale è un gioco di ruolo stereotipato, noi stessi agiamo per automatismi» aggiunge Maurizio Ferraris, citando Eva Futura. Il nuovo equivalente di HAL9000 di 2001, Odissea nello spazio, Alexa, non spia e non modifica il suo comportamento in modo che sia più simile al nostro, ma contrariamente è l’essere umano che ne impara il linguaggio. Gli umani si sono addestrati ad essere degli automi.

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I robot possiedono un’intelligenza algoritmica seguendo le regole del calcolo, è importante pertanto educare i futuri costruttori ad avere una scala di valori per non eliminare i pregiudizi portati dalla cultura di chi lo programma. Come disse Eraclito «Il signore, il cui oracolo è a Delfi, non dice né nasconde, ma indica».

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