Eterodossia
8 9 2024
Eterodossia

Il genio di Gae Aulenti alla Triennale di Milano, con Beppe Finessi, Nina Bassoli e Luca Molinari

«Faccio questo mestiere in un mondo di uomini e ho sempre fatto finta di niente». Queste parole dell’architetta Gae Aulenti dimostrano la sua determinazione e la rilevanza della proposta culturale che ha avanzato nel panorama italiano e internazionale del secondo Novecento. Non è una dichiarazione rinunciataria, al contrario è l’espressione di un impegno segnato dalla lotta continua. Far finta di niente significa focalizzarsi sulla dimensione artistica e produttiva senza dimenticare la cornice ideologica che anima il suo lavoro.

Della sua figura discutono Beppe Finessi, Nina Bassoli e Luca Molinari, presentando una mostra che sarà alla Triennale di Milano fino al 12 gennaio 2025. Alcuni cenni biografici aiutano a inquadrarla. Gae Aulenti nasce nel 1927 in provincia di Udine, cresce a Biella, frequenta città come Torino e Firenze e si laurea presso il Politecnico di Milano. Iscritta al Partito Comunista, si schiera a fianco dei partigiani e per tutta la vita, nelle parole di Finessi, «preferirà la bandiera rossa al tricolore».

La sua carriera, dipanatasi nell’eterodossia degli anni Sessanta, si caratterizza per l’originalità del linguaggio, la militanza del carattere e la propensione alla sperimentazione. Nonostante le polemiche, o forse proprio a causa di esse, Gae Aulenti dimostra grande carisma oltre che impegno civico e umano. Il suo dialogo è proficuo sia con il teatro, sia con le committenze (per esempio Agnelli) che le hanno chiesto e offerto lavori.

La mostra presso la Triennale, curata dal critico e storico dell’arte Giovanni Agosti, prevede la costruzione di una serie di ambienti in ordine cronologico e in scala 1:1 che raccontano la storia dell’architetta. Ciò che stupisce è l'eterogeneità dei luoghi presenti: dallo showroom di Olivetti a Buenos Aires al concessionario Fiat a Zurigo, passando per la stazione della metropolitana di Napoli, l’aeroporto di Perugia e la macelleria allestita per la scenografia di Elektra alla Scala con regia di Luca Ronconi, il tutto condito da dipinti futuristi, opere di Christo e omaggi al surrealismo. Questi spazi sono intersecati fra loro e consegnano la varietà della sua produzione e la sua capacità relazionale.

L’architetto è infatti un «mestiere di relazioni». Se Gae Aulenti si presenta come intellettuale è bene ricordarla anche come «donna mondana», senza che questo abbia alcuni connotati negativi. Il network creato, squisitamente pop, consente di collegare puntini che tengono insieme la famiglia Agnelli, Andy Warhol, le sculture di Magritte, il cinema, il teatro sperimentale, le scenografie nei corridoi degli orfanotrofi, il «forniture design», la grafica e molto altro. Raccontare la sua storia, che è in parte anche la storia dell’esplosione economica e sociale italiana degli anni Sessanta, è stato possibile grazie all’oculata operazione di archivistica svolta a partire dalla sua morte nel 2012.

Alla mostra su Gae Aulenti si vede tutta la sua abilità nel tessere relazioni e nell’impegnarsi per un preciso ideale di architettura ben esemplificato dalle parole di Nina Bassoli: «una macchina teatrale per far parlare oggetti e ambienti».

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