I lettori e gli eletti
6 9 2016
I lettori e gli eletti

Quando la casualità determina la tradizione e l’affinità elettiva condiziona la nostra biblioteca

«L’idea che i libri manchino, che non tutti verranno raggiunti, che non tutti verranno letti è consustanziale all’idea di libro. Amare i libri vuol dire anche non averli, non averli tutti». La filologia vive di questa condizione liminare, sospesa tra i testi rimasti e quelli che non abbiamo, che sono incompleti o corrotti dal tempo. Le parole di Gian Arturo Ferrari si riferiscono ad una consapevolezza nata nel nostro Umanesimo, quando vennero rimestate antiche biblioteche e per la prima volta i letterati realizzarono la scomparsa ineluttabile delle opere non reperite. Delusioni profonde e sorprese insperate, come il ritrovamento ad opera di Petrarca delle Epistole ad Attico, scoperte nella biblioteca capitolare di Verona nel 1345.

Altrettanto sensazionale fu il ritrovamento del manoscritto del De rerum Natura di Lucrezio nel 1417: da qui nasce l’attrazione che il Rinascimento italiano ebbe per Epicuro e da qui, quasi un secolo dopo, la scelta di Raffaello di inserire il filosofo nel dipinto “Scuola di Atene”. Ma per tutto il medioevo di Lucrezio non si sapeva nulla. Fino al XV secolo, era ricordato nella schiera di autori antichi di cui rimangono solo le lodi dei contemporanei e niente più che citazioni sparse, come racconterà Dino Baldi durante l'incontro Vite avventurose di libri esemplari.

La cultura europea ha radici profondissime e consolidate da secoli di studi e di rielaborazioni, ma spesso ci si dimentica come altrettanto radicalmente sia condizionata da eventi fortuiti. Ancora oggi le sabbie del deserto restituiscono frammenti di manoscritti perduti e talvolta anche un’opera scomparsa non smette di far parlare di sé. Come si concludono gli Annali di Tacito? Quali nomi conteneva l’epistola dantesca sulle più belle donne fiorentine?

Certo, oltre al caso, molti altri fattori condizionano la fortuna di un testo e tra questi, tra i più discussi, è la nozione di canone. Non si riesce mai a determinare completamente le ragioni per cui un’epoca prediliga alcuni autori e ne costringa altri al silenzio, ma talvolta è possibile rischiarare le zone d’ombra attraverso le testimonianze delle personalità più influenti, come nel caso degli epistolari di Bembo o di Baldassarre Castiglione. Mentre Bembo stendeva le Prose della volgar lingua, per stabilire definitivamente il modello petrarchista nella lirica italiana, il mantovano Castiglione stava lavorando al Cortegiano. Dopo la pubblicazione nel 1528, il dialogo diventò il canone di stile nelle corti italiane ed europee del Cinquecento.

Gli italianisti Gabriele Pedullà e Stefano Jossa, con Angelo Stella, curatore dell’edizione critica, presentano l’epistolario di Castiglione durante l'evento Un cortigiano sconfitto: 850 lettere raccolte che raccontano della formazione giovanile, riportano alcune recensioni letterarie ed un’impegnata attività diplomatica. Essere cortigiani è un esercizio di spontaneità quanto quello di un arciere o di una ballerina, che nascondono l’arte nel momento di maggiore difficoltà: nella conversazione, è necessario passare elegantemente da argomenti seri a temi più mondani, intrattenere gli ospiti con arguzie ed essere consiglieri fidati. L’epistolario testimonia, soprattutto, una riflessione sullo stile che supera i confini della corte e tende ad assorbire ogni aspetto umano, aspirando all’universale. Poiché Castiglione si muove in una realtà in cui la scelta è essenziale, ma da cui niente è escluso a priori, le epistole ai principi d’Italia si trovano accostate non di rado a lettere private destinate alla madre o alla moglie Ippolita.

Negli studi accademici gli epistolari si sono rivelati un importante strumento critico, ma il loro fascino non si limita a questo. Petrarca rimase folgorato dalla scoperta delle Epistole ad Attico perché lo avvicinavano a Cicerone più di qualsiasi orazione e così anche noi, nonostante ci sia preclusa l’emozione della scoperta, ci accostiamo agli epistolari di ogni tempo per dividere con l’autore la sedia della scrivania ed essere parte di quella corrispondenza esclusiva. Maria Pia Paoli, Elisabetta Stumpo e Daniela Ferrari recuperano lo scambio tra Cristina di Lorena e Caterina de' Medici (evento 177) e ricostruiscono il rapporto tra madre e figlia al centro delle corti di Firenze e Mantova. E’ un pretesto per illustrare lo scenario politico del tempo e insieme l’offerta al lettore di un punto di osservazione inedito. Festivaletteratura propone al suo pubblico l'intimità di questi diari corali del passato.

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