«I missionari del credito»
6 9 2024
«I missionari del credito»

Il progetto Finafrica e le sue implicazioni ideologiche

Nel 1967 Cariplo, la Cassa di Risparmio delle Province Lombarde, ha creato Finafrica, il Centro per l’Assistenza Finanziaria ai Paesi Africani. La data non è casuale: quelli erano proprio gli anni nei quali i paesi africani stavano dichiarando l’indipendenza dagli imperi coloniali che li avevano dominati per quasi un secolo. Questa iniziativa italiana aveva come obiettivi la creazione di un sistema redditizio nei neo-paesi e la formazione di una classe dirigente. Studiarne la storia può fornire elementi utili per comprendere non solo lo stato in cui versavano tali nazioni, ma anche per analizzare quali erano le priorità della politica italiana. La storica Simona Berhe e l’economista Pier Giorgio Ardeni, stimolati dalle domande del giornalista Alberto Magnani, riflettono sulla vicenda, sicuramente un capitolo poco frequentato nella storia fra l’Italia e le Afriche (termine che inevitabilmente deve porsi al plurale per la eterogeneità dei suoi territori).

Berhe ha pubblicato un testo dedicato al tema e intitolato I missionari del credito, espressione derivante da Giordano Dell’Amore, l’economista che più di tutti ha coordinato l’esperienza del Finafrica. «Missionari del credito» risulta espressione apparentemente ossimorica perché fonde lessico religioso e lessico economico. In realtà, sottolinea la storica, etimologicamente «credito» deriva da «credere», atto che implica fiducia e affidamento. È infatti un «afflato etico» che anima Dell’Amore ad attivare questo progetto seguendo principi di responsabilità sociale e collaborazione paritaria: questi sono i valori della classe dirigente democristiana a cui l’economista appartiene e che in quegli anni si è prodigata affinché in questi nuovi paesi non si affermassero i valori sovietici (il contesto è di piena guerra fredda). Il Finafrica rappresenta questa classe dirigente: cattolica, conservatrice, incentrata sulla difesa della famiglia e sulla centralità della società rurale. La sua prerogativa era l’idea di risparmio privato come diritto e come dovere. Eppure, sottolinea Ardeni, la sola idea di risparmio era impraticabile per Paesi che emergevano da una situazione di colonizzazione così grave.

Giordano Dell’Amore non si rivolge all’Africa anche per una sua intuizione economica. Nasce al Cairo ma tornerà nel continente solo una volta nel 1973 per un viaggio in Algeria. Viene descritto come modello opposto rispetto a Raffaele Mattioli, banchiere umanista e antifascista. Il rischio di progetti come Finafrica, per Magnani, è l’eurocentrismo insito nell’osservare le economie africane da lontano e l’esportazione rigida di modelli di consumo tipici dei paesi occidentali. Ciò nonostante, tanta parte dell’azione del centro di Dell’Amore era la formazione di classi che potessero gestire le complicate questioni legate alla decolonizzazione (materie prime, debito causato dalla costruzione di infrastrutture, assenza di moneta in circolazione).

Il primo insegnamento teorico da trarre da un’esperienza come questa è l’importanza del ruolo delle classi dirigenti. Un lavoro oculato che abbia come finalità la loro formazione può snellire le procedure burocratiche e migliorare la capacità decisionale in contesti di tale complessità.

La decolonizzazione può dirsi effettivamente ultimata? In che modo il neocolonialismo ancora regola i rapporti fra stati colonizzatori e stati colonizzati? Come evitare i rischi di un modello verticistico come quello che sembra attuare oggi la Cina, Paese interessato più di ogni altro ad esercitare un’influenza sui Paesi africani? L’iniziativa Finafrica, pur nei suoi limiti ideologici, può offrire uno strumento capace di evocare un mondo multipolare nel quale i rapporti non sono necessariamente conflittuali ma volti alla creazione di benefici comuni.

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