Recuperare Thomas Bernhard come drammaturgo e come artista
Cos’è un dramoletto? Un dramma ridotto? Una storiella? Un’opera semplificata? Qualcosa di leggero e innocuo o, al contrario, di prorompente, irriverente, incendiario?
Tali domande aleggiano inevitabilmente sul Cinema Oberdan durante la rappresentazione di questi tre testi minori di Thomas Bernhard, finora riprodotti soltanto in radio ma inediti per il teatro italiano.
Come approfondimento: (caricamento...)
Luca Scarlini li presenta brevemente e li contestualizza: l’autore austriaco li ha scritti nella fase finale della sua carriera (anni '80), quella in cui l’odio e l’ostilità nei confronti della sua città e del suo paese hanno raggiunto il parossismo. Pulsa in essi una vulcanica rabbia, espressa grazie alla prospettiva rivoluzionaria del sarcasmo più caustico concesso dal medium teatrale: alti funzionari nostalgici del führer banchettano tra teste mozzate e peni in bocca, sullo sfondo di un’Austria in cui il passato nazista non è mai veramente passato. È questo infatti lo scenario su cui si apre il primo dei tre dramoletti: Assoluzione. Le attrici Alice Fazzi e Martina Montini e gli attori Alessandro Ambrosi e Francesco Halupca entrano danzando sulla scena ed evocando un’atmosfera di fasti e gaudio. La citazione iniziale sulla forza del fascismo di Mussolini mette subito in chiaro qual è il quadro ideologico dei personaggi: uno in cui l’odio verso i partigiani e la stampa di sinistra rafforzano il rimpianto del nazismo e del nazionalismo più becero. D’altra parte «Noi diciamo Ragusa, non Dubrovnik». Lo stile molto serrato dei performer della Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino, fatto di poche pause e insistenza ossessiva sulle date, restituisce il senso di indigestione politica descritto da Bernhard. Alla fine, uno dei protagonisti viene assolto per aver ucciso «solo qualche migliaio di ebrei».
In Match alcuni uomini insultano dei giocatori di calcio alla TV mentre una donna indugia in un monologo che presto la porta ad inveire contro la «gentaglia» e a manifestare l’esigenza di un «uomo forte» che sappia dominare il caos. L’intro con Tanti Auguri di Raffaella Carrà sembra portare l’auspicio proprio di una restaurazione dell’ordine che elimini proteste e mal di pancia.
Ma è nel terzo e ultimo dramoletto Tutto o niente che Bernhard approda all’apice della sua satira grottesca. È il 1981 e al teatro di Francoforte sono presenti sul palco le tre massime autorità tedesche: il Presidente della Repubblica Federale, il Cancelliere Federale e il Ministro degli Affari Esteri. Il loro scopo è superare una serie di prove fra cui la corsa nei sacchi, la risposta alla domanda «come vi chiamate?» e una sfida che prevede di strisciare all’interno di una «botte di merda» nel minor tempo possibile per raccogliere una scheda elettorale a favore del proprio partito. Il giudice di questa kafkiana operazione mediatica è un cane bavoso che esprime le proprie preferenze con mugugni e latrati poco convinti. Gli eminenti politici vincono tutto arrivando a dichiarare pubblicamente la loro fede nazionalsocialista. Il bottino della loro vittoria viene devoluto per la fame del mondo in un modo che definire ironico sarebbe eufemistico.
Il sipario cala, gli attori escono. Le risate che hanno provocato lasciano un senso di sbornia che negli anni '80 è sicuramente risultato ancora più cruento. Questi atti unici del Novecento, dimenticati altrove, riconsegnano così la loro forza corrosiva imbevuta di evidenti afflati politici.