Scrittura, desiderio e corpo con Giorgia Tolfo e Carolina Bandinelli
Corpi, ibridazione e desiderio sono stati i protagonisti del dialogo tra Giorgia Tolfo (scrittrice, ricercatrice, traduttrice e critica letteraria) e Carolina Bandinelli (scrittrice e professoressa associata in Media and Creative Industries all’Università di Warwick), perfettamente intrecciate in un dibattito che pone al centro il ruolo della scrittura.
Per entrambe, la scrittura è uno strumento di liberazione: a quella richiesta costante di legittimazione, patriarcale ed opprimente, che pervade la società e la scrittura stessa, risponde la consapevolezza di libertà della narrazione. Scrivere un romanzo infatti neutralizza la necessità di citazione, proprio della scrittura accademica, restituendo la fantasia e l’invenzione, limando il confine tra il vero e il falso - rimuovendo però, di fatto, lo scudo confortante del nome, del rigore e della struttura. Nel romanzo ci si toglie dallo sfondo, riappropriandosi di un corpo, che più che mai si dà alla pagina.
Il rapporto tra corpo, desiderio e parola è un tema fondamentale del lavoro di Bandinelli e Tolfo. Bandinelli lo esplora nel saggio Le postromantiche (Laterza 2024) e nel romanzo La più brava (Nutrimenti 2024). Per l'autrice non si può prescindere da una, non metaforicamente, viscerale relazione tra ciò che si scrive e il corpo di chi scrive. Scrivere è poi la manifestazione di un desiderio, spesso di essere visti, apprezzati. È un atto di seduzione: la scrittura permette l’uscita dal corpo di una primale, a-verbale pulsione di riconoscimento.
Lo scrivente è quindi una realtà sempre posizionata, fisica, quasi ingombrante e dimenticarne il corpo è un fallace tentativo di disincarnata omologazione. In un certo senso, è cercare di avvicinarsi a quella struttura che la “scrittura fallica”, come la definisce Bandinelli, ci impone. Per entrambe le autrici infatti una riflessione sulla scrittura non può prescindere dall’analisi critica del contesto sociologico.
Giocando sulla polisemia della parola genere, che in italiano può riferirsi al genere letterario di un testo come all’identità, si manifestano la violenza della struttura. Solo una certa voce, che risponda ad uno specifico canone, che è affermativa, certa e sicura, che ci rincuora con il noto scheletro di una trama, sembra essere degna di essere ascoltata. «È difficile essere un maschio morto se sei una ragazza di sedici anni» dice Bandinelli, parlando della difficoltà di riconoscersi e trovare una propria voce nel confrontarsi con un canone letterario spesso maschile, compatto e strutturato. Attraverso Emma, la protagonista di La più brava, e grazie alla lettura di scritture porose, ibride e fuori canone (come I love Dick di Chris Kraus, Gli argonauti di Maggie Nelson e i volumi di Living Autobiography di Deborah Levy), l’autrice afferma di essere riuscita a rispondere all’opprimente bisogno di legittimazione, contrapponendovi così una scrittura situata, corporea, consapevole dei limiti. Alla sicurezza risponde con l’apertura alla domanda, la fluidità e l’ambiguità.
La riflessione sul corpo, e sul significato che assume, sull’ambiguità e ambivalenza del desiderio, personale e al contempo socialmente mediato, è centrale in La più brava, in cui Emma deve fare i conti con l’essere adulti e con la maternità. Come sottolineato da Bandinelli, nella domanda sulla maternità, l’aspettativa prepotente della società si ingarbuglia più che mai al desiderio o alla aspettativa soggettiva. È in questa domanda che il corpo, ancora di più si svuota di chi lo abita e diventa oggetto: deve essere smussato, incastrato nella struttura, incontestata ed incontestabile della società. Come si confronta il riconoscimento della problematicità di questo con un desiderio di creazione? La scrittura può offrirci nuovamente un aiuto: come ben detto da Tolfo, il desiderio di creazione, di lasciare una legacy, è probabilmente qualcosa di universale. Può tradursi anche nella rivendicazione di una scrittura che sia bacino di un «eccesso di esperienza», come dice Bandinelli. Scrivere quindi per testimoniare e riappropriarsi, per dare senso ed accogliere quel superfluo che sembra inutile, ma se tradotto in letteratura, scompiglia, diventando così una radicale alternativa.