Festivaletteratura raccontato da Sabrina Efionayi, scrittrice e ospite nella XXVIII edizione
Anche quest'anno Festivaletteratura ha chiesto a un autore presente a Mantova un commento a caldo sulla ventottesima edizione che si sta per chiudere. Il racconto di questa edizione è stato scritto da Sabrina Efionayi. Per leggere il comunicato stampa finale consultate l'area stampa.
Tra cento dubbi una cosa sola mi è sempre stata chiara: il festival si racconta attraverso i lettori e le lettrici. La prima volta che ho avuto l’opportunità di far parte della famiglia del festival avevo sedici anni, presentavo il mio primo romanzo sotto un gazebo bianco in compagnia di uno scrittore pugliese. Ricordo che non guardavo mai il pubblico, tenevo sempre lo sguardo fisso in fondo alla sala, immaginando una lucciola volteggiare in aria pronta a rapire mia attenzione. Se avessi smesso di guardarla, si sarebbe spenta per sempre. Per l’adolescente timida che ero appariva insostenibile l’idea di tenere lo sguardo con chiunque per più di un minuto. Ero convinta che quella sensazione mi avrebbe soffocata. Oggi, a distanza di molti anni, con una consapevolezza quasi adulta, comprendo che ad aiutarmi a compiere i primi passi sono stati proprio quegli occhi, una guida non richiesta ma necessaria. I lettori e le lettrici sono il cuore pulsante del festival, le sedie sempre piene, le file agli eventi, la libreria a Piazza Sordello che non smette mai di incantare.
In questi giorni una donna sotto il tendone di Piazza Alberti, giunta sul luogo con leggero ritardo, mi ha restituito quel sentimento di appartenenza che ho ricercato per tutto l’anno. In prima fila adocchia una sedia libera, le scarpe con i tacchetti alti, la borsa del festival che pendeva sul braccio mentre frettolosa si fa spazio tra il pubblico. Una volta preso posto, le gambe accavallate e gli occhi puntati su chi era di fronte a lei, tutta la fretta che aveva accompagnato il suo arrivo svanisce come zucchero filato sulla lingua di un bambino. L’ho vista nascondere un sorriso, poggiare il gomito sul ginocchio e il mento sulla mano adornata da piccoli anelli argentati. Ascoltava Daniele Russo, attore napoletano, interpretare poesie con voce e corpo. I poeti selvaggi di Roberto Bolaño. Le mani che battono forti, gli anelli che si scontrano, le sue dita affusolate, lei che non si lascia sfuggire nemmeno una parola di quel momento tanto desiderato. Eccolo: il pubblico del festival, che corre, poi si siede, poi commenta in un mormorio, ride e, infine, fa qualcosa di spettacolare: crea una rete, crea una comunità, restituendo valore alla scrittura e al lavoro di chi ha fatto sì che un momento simile potesse esistere.
Mi sono sempre interrogata su come fosse possibile che l’intera città parlasse di letteratura, su come le vetrine - non solo quelle delle librerie – esponessero libri, locandine, supporto al festival, grandi autori. Le insegne blu della città che ti indicano una direzione piuttosto che un’altra – in sottofondo, se ascoltate bene, potete quasi sentire Blondie con One way or another. Le piazze più belle e grandi della città, insieme alle chiese e ai musei, ospitano centinaia di eventi in pochi giorni. L’immensità di Piazza Castello, il piacere di esserne ospiti, di poter ascoltare le parole che si perdono nell’aria e arrivano alle orecchie di chi – sì, per una volta possiamo dirlo a gran voce e senza alcun dubbio – vuol davvero ascoltare.
Il sentimento è vivo, non oscilla nell’incertezza, sai di essere arrivata a Mantova. E io ho atteso il mio arrivo a Mantova come un amante nel cuore della notte, tra le ombre, senza farmi troppo vedere, accompagnata dal dolce mormorare dei passanti e con il cuore in tempesta. L’ho accennato poco ad amici e parenti, qualche commento sui social network per i lettori, scrittori e amici che avrei potuto incontrare.
La paura che qualcosa di così bello si sarebbe potuto infrangere perché desiderato a voce troppo alta, ha fatto sì che lo trasformassi in un segreto. Gli ultimi giorni prima della partenza, celando tutta l’emozione di cui ero dotata, ho quasi finto che non stesse per accadere. Quelle volte, invece, in cui ne parlo con chi di festival letterari ne sa ben poco, lo sforzo nel voler far comprendere quanta emozione possa celarsi dietro Mantova è incommensurabile. Come lo spieghi, a chi va in ferie a settembre, a chi ha prenotato un’ultima vacanza prima di ritornare nella monotonia dell’autunno, che il tuo luogo del cuore è immerso tra libri, autrici e autori, tra i ragazzi e le ragazze che indossano maglie blu e mangiano tortelli di zucca a cena? Che certo, niente può essere paragonabile ai granelli di sabbia tra le dita dei piedi e la pelle che sa di sale, ma prima che la vita torni ad essere in salita, poter nascondere il naso in un libro a Mantova è un privilegio che non posso sottovalutare.
Nella sera del penultimo giorno di festival, al Museo Diocesano, ho abbracciato dopo due anni Alice, cariche di commozione. Lei, che mi ha accompagnato tra le strade mantovane nove anni prima, era ancora lì, con il suo taglio di capelli corto fino alle orecchie e il sorriso armonioso da giovane donna. Intorno a noi creavano una cornice perfetta i ragazzi dalle maglie blu, commossi e sfiniti dall’intensità dell’incontro che si era appena tenuto – il pubblico entusiasta, loro bravi e sicuri del percorso che avevano fatto durante tutto l’anno, io felice, semplicemente felice, di aver avuto l’occasione di discutere insieme a loro. Vorrei condividere il calore dell’abbraccio di Alice in queste righe, trovare le parole giuste per descrivere i sapori e gli odori di questa città, l’importanza e la stima che mi ha restituito, l’amore quasi materno con cui queste piazze mi hanno vista crescere come scrittrice. Se immaginiamo l’importanza che le reti ferroviarie hanno avuto nell’unione di uno stato, possiamo comprendere come tutti i protagonisti del Festivaletteratura hanno fatto sì che ci fosse una metà, un’unione, un punto di partenza e d’arrivo. È un treno che passa una sola volta all’anno: vale la pena non perderlo.