Il trentennio del vuoto
6 9 2024
Il trentennio del vuoto

Il racconto dei decenni che hanno cambiato l'Italia

Il trentennio sarà un racconto, più che un’analisi degli ultimi trent’anni della storia politica italiana. Perché è sempre interessante vedere lo stato nascente, la genesi di un’epoca.

Marco Damilano inizia il suo racconto nel 1994. Tutto ebbe inizio il 27 e il 28 marzo 1994, nel giorno più lungo, un giorno durato 48 ore. Si celebrava la Pasqua ebraica e il Governo, con il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, decise di allungare il voto fino alla sera del lunedì. Non era mai successo. Così come non esistevano i sondaggi, gli exit pool, e la circolazione delle notizie era molto diversa da quella di oggi. L’opinione pubblica era inesistente e la gente votava quello che era, con pochissimi spostamenti di schieramento. Le appartenenze collettive erano i partiti. Non esistevano le periferie, le ZTL, si vedeva passare la storia e non ce ne rendevamo conto. Nel 94 cambiò tutto: improvvisamente l’opinione pubblica diventa un animale. Un animale che deve essere addomesticato. Questo il passaggio fondamentale, il passaggio tra vecchio e nuovo, tra la Prima e la Seconda Repubblica.

Cosa c’era di diverso in quella notte? L’Italia stava votando dopo gli anni di Tangentopoli, dopo vent’anni di piccoli ma significativi cambiamenti. L’Italia stava cambiando, ma i politici continuavano a credersi immortali, in un sistema bloccato come quello dell’Italia del dopoguerra. Alcuni però morirono politicamente proprio quella notte. E si impose un’altra figura ,che per i futuri trent’anni disse sempre di essere immortale. In quella notte apparve anche la figura del sondaggista. Un mago, un indovino, un aruspice che sventrava l’opinione pubblica per leggere il futuro di una nazione. Quella sera giravano notizie. Nicola Piepoli diceva di essere l’unico a sapere per chi avevano votato gli italiani. Ma eravamo ancora nell’arcaico, nel conteggio dei gabbiani in volo. E non si poteva nominare il vincitore prima della chiusura delle urne.

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«L’Italia è il paese che amo». Due mesi prima era stato girato il famoso videomessaggio di discesa in campo di Silvio Berlusconi. Nove minuti e mezzo, con una scrivania troppo pulita e una libreria troppo ordinata. Una luccicanza del vuoto. Falso era lo studio, falso il fondale. Di vero solo le macerie di un sistema ormai già crollato, anche se nessuno se n'era accorto. Il video fu deriso e criticato. Fu considerato una bizzarria, per essere teneri. Una totale incomprensione nei riguardi di un paese rovesciato. Come nel 1974, quando l’Italia votò a favore della legge sul divorzio, e tutti i partiti furono presi alla sprovvista. Un paese allo stesso modo completamente sconosciuto alle classi dirigenti. E il vuoto stava prendendo forma. Nel 1994 usciva Destra e Sinistra di Bobbio, dopo decenni di centrismo della Democrazia Cristiana. Pannella era ancora un predicatore puro e il biennio di rabbia scatenato da Tangentopoli stava diventando una grande marea che avrebbe travolto tutto. I partiti morivano nel giro di poche ore. La morte politica e fisica era diventata il convitato di tutti i politici potenti. Il trasformismo passava dai politici agli elettori, il corpo elettorale improvvisamente cambiava tutto. Si voleva il passaggio di regime. Furono tutti colti di sorpresa anche dalla nuova legge elettorale. Non si era abituati allo scontro uninominale (anche se annacquato dal recupero proporzionale). I progressisti si erano preparati utilizzando dati vecchi, delle elezioni passate. Credevano di vincere in 21 collegi su 24 a Roma. Questi numeri davano allegria, nacque «la gioiosa macchina da guerra». La periferia però stava già abbandonando la sinistra, così come i quartieri stavano diventando sempre più degradati e vuoti. Tutta questa realtà era forse conosciuta, ma non capita e stava uscendo tutto alla luce con quelle elezioni. Berlusconi intanto costruisce il partito azienda insieme a Gianni Pilo. Si assumono i futuri deputati. Si organizzano sondaggi. I progressisti continuano a guardare dati vecchi. Pilo analizza quelli reali. E inevitabilmente vince la coalizione di Berlusconi.

Davanti alla sede del PDS non c’è nessuno. Da ora in poi nulla sarebbe stato come prima. Iniziano i partiti personali, la visibilità esteriore. Invisibili sono invece i meccanismi. Gli eletti del non partito, del partito azienda, vengono accolti con altezzosità in Parlamento. Berlusconi appare annoiato durante la fiducia, e lo sarà spesso. Odiava il palazzo. Ma poi ne diventa il simbolo. Insegue i voti centristi, si normalizza e alla fine diventa un professionista della politica. Una politica che aveva sempre combattuto. Il centro non esiste più. Nel 1994 la DC di Martinazzoli sparisce, Dio si volta da un’altra parte. E l’apocalisse, i politici sono diventati mortali e l’elettorato moderato è diventato smodato.

L’Italia anticipa i tempi, i tempi dell’antipolitica e contemporaneamente della politica moderna stile Trump. Dura da un trentennio e non è ancora finita. Il malessere covava nella società italiana e Berlusconi si è limitato ad intercettarlo. Perché poi questa energia si è trasformata paradossalmente in un nuovo blocco. La rivoluzione apparente che si trasforma in immobilismo e quindi in decadenza. Fino alla fine Berlusconi si è fatto rappresentare come paladino dell’antipolitica. Un uomo che però conosceva solo il tempo presente, nessuna memoria e nessun futuro. Allusione al cambiamento, ma nessuna realtà su cui costruire. Quando il lutto per la sua morte è finito, sembrava che non fosse mai esistito niente. Infatti, se esiste solo il presente, non esiste altro. Trent’anni di vuoto. A cui hanno partecipato tutti. Riforme annunciate e mai fatte, solo spazio per il taglio alla politica e per il suo stesso senso. Nonostante invece in Europa la politica sia andata avanti per affrontare le nuove grandi sfide. Un deserto culturale, politico, dei diritti, del lavoro. Un vuoto elettorale che continua a perdere elettori. Un paese ex-voto. Oscilliamo tra tecnici e populisti, tra chi sa tutto e chi non sa niente. Fallimentari entrambi. La sinistra ha definitivamente perso le periferie, i leader sono fragili, non fotografano la realtà e si limitano a governare con chiunque pur di governare. Meloni risponde al vuoto con vecchi miti, ma piena di vittimismo. È ancora un cambiamento declamato ma senza azione e prospettiva. La Seconda Repubblica non è mai nata. E in trent’anni abbiamo solo indebolito il nostro sistema. Rimane come unica soluzione quella di ridare vita alla nostra democrazia e renderla ancora più tenace.

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