Immenso Caos, ti vedo. La vita in versi di Andrea Zanzotto
9 10 2021
Immenso Caos, ti vedo. La vita in versi di Andrea Zanzotto

Domenica 10 ottobre si celebra il centenario della nascita del poeta. Un’occasione per riascoltare il suo memorabile incontro a Festivaletteratura 1999

Si chiudono in questi giorni le celebrazioni in onore di Andrea Zanzotto (Pieve di Soligo, 1921 – Conegliano, 2011), che dalla scorsa scorsa primavera hanno coinvolto studiosi, artisti e scrittori in un percorso di approfondimento e conoscenza di una delle voci più incisive della poesia italiana del secondo Novecento. Domenica 10 ottobre, a cent’anni esatti dalla nascita, si inaugura a Pieve di Soligo la Casa Paterna del poeta trevigiano, uno spazio che da qui in avanti offrirà ai visitatori un’esperienza piena della sua straordinaria opera in versi, tanto vicina all’ermetismo e allo sperimentalismo del Secondo Dopoguerra che a un magistrale recupero della poesia dialettale.

L’occasione ci è sembrata davvero propizia per riscoprire l’intervento di Zanzotto in uno dei primi Festival, nel 1999, presso il Cortile della Biblioteca Baratta, in cui era stato intervistato da Mario Artioli. È un dialogo entrato a pieno titolo tra i nostri memorabilia e fu anche al centro di un piccolo omaggio pubblicato su Colibrì – lo storico notiziario dell'Associazione Filofestival – alla morte del poeta dieci anni or sono (scarica qui il numero di dicembre 2011). Riascoltarlo dà modo di ritrovare molti dei temi ricorrenti nella complessa e multiforme poetica di Zanzotto, ma soprattutto di coglierne l'anima attraverso un dialogo famigliare, tra un'acuta rilettura di Metastasio e un'incursione nel moderno e nella sua scomoda eredità, all’insegna di un pessimismo pieno di acume e amore per la vita bene esemplificato anche dall’estratto dell'incontro che vi riproponiamo sotto. Buon ascolto!

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«Nel secondo Novecento mi sono trovato a fare i conti con moltissimi avvenimenti che si affacciavano in tutte le conoscenze e che non potevano non incidere sulla scrittura. Quindi le varie scuole d’avanguardia hanno tutte avuto una loro ragion d’essere. Però, oggi come oggi, sembra d’essere arrivati a uno stallo, che non è neanche “New Age”, zuccheroso e impalpabile: vengono fuori delle stupidaggini o dei paradossi incredibili. Ho visto un manifestino in cui la Scientologia, diventata abilmente “culto” – basta che uno dica che è un culto e siamo a posto, c’è la libertà di culto – affermava: “criticare violentemente l’elettroshock!”... Ci sarebbe un vecchio proverbio contadino che esprime bene la situazione: “saria el badìl ch’al dis mal del ledam”! In poche parole, ci troviamo di fronte a fenomeni di aberrazioni complanari, le une e le altre giustificate da una certa linea. Di fatto corrispondono a una disgregazione generale, causata anche dalla velocizzazione delle conquiste puramente tecnologiche e scientifiche e non certo etiche: non solo di ethos privato, che riguarda la forza morale di ognuno, ma di ethos pubblico, che nell’Ottocento aveva cominciato a farsi strada e che negli ultimi anni – con la globalizzazione – ha conosciuto una spaventosa trasformazione.

Nella situazione attuale tutti devono ballare il ballo di San Vito e non esiste più “il posto”: esiste il fast-food, il “pizzica e fuggi”. L’instabilità viene preferita a quella che invece è un minimo di stabilità. Se c’è un’instabilità totale non può esserci neanche un’etica, perché un’etica implica un ethos, cioè qualche cosa che viene a stabilirsi come una bella o una brutta abitudine. Io non faccio l’apologia dello starsene seduti a dormire, tutt’altro. Ma dico che ancora oggi, per me, è molto più ricco di stimoli osservare cento volte gli stessi luoghi nel mutare delle stagioni e dei tempi che cambiare continuamente di posto e saltare di qua e di là. Alla smania del turismo di massa preferisco quella che si potrebbe chiamare la “localizzazione di un mini-trip” tutt’altro che dannoso, perché non occorre prendere niente per averlo. [...] Certo, penso che in tutti e specialmente nei giovani – per questo mi fa piacere vedere molti motorini e niente macchinoni lì fuori – ci sia l’aspirazione a muoversi e a conoscere: il giovane ha tutto il diritto di muoversi, di saltellare, di conoscere e di vedere, proprio perché rappresenta la Magna Mater, che parte dagli stessi principi e dalle stesse situazioni per dare una freschezza di sguardo sopra la realtà. È bene sì che i giovani si muovano, però sapendo che ci si può muovere senza ricorrere a viaggi chimici e a viaggi altrettanto chimici con aeroplani che infettano l’atmosfera.

Insomma, anche se non so dire quello che sta avvenendo – tutti i giornali ne parlano e nessuno può dire una parola precisa – qualche cosa di sordamente e contortamente distruttivo è in atto, e allora ho modificato una famosa strofetta di Metastasio, che tutti voi conoscete:

Dovunque il guardo giro,
immenso Dio, ti vedo:
nell’opre tue ti ammiro,
ti riconosco in me.

La terra, il mar, le sfere
parlan del tuo potere:
tu sei per tutto; e noi
tutti viviamo in te.

L’ho modificata perché un po’ di passatempo ci vuole sempre e un
po’ di umorismo nero non fa mai male, se è possibile infilarlo dentro ai versi che, purtroppo, sono molto taglienti. Non è da credere che giungere ad una immagine poetica sia una gran gioia, tante volte è procurarsi un bel taglio nel momento stesso in cui si usa lo strumento. Ma il fatto di risolvere con le parole, che è diverso dal risolvere nei colori o nei suoni, può lasciare aperta la valvola dell’umorismo nero:

Dovunque il guardo giro,
immenso Caos, ti vedo:
per l’opre tue mi adiro,
ti riconosco in me.

Il ciel, la terra e il mare
parlan del tuo strafare,
del tuo globalizzare;
ma che? Ma chi? Perché?»

Festivaletteratura