Io posso
10 9 2021
Io posso

Pif e Marco Lillo presentano una battaglia, iniziata 30 anni fa e non ancora conclusa

La Sicilia presenta paesaggi meravigliosi. C’è una strada in direzione Mondello dove il mare è cristallino. Questa strada è percorsa da persone che probabilmente non si soffermano su chi abiti in quel luogo, in quel posto così ambiguo: da una parte c’è un palazzo di nove piani con un terrazzo che affaccia su un parco fiorito, che ha vicine due casette diroccate, completamente diverse nel loro aspetto.

Se si dovesse pensare a dove potrebbe nascondersi la mafia, si direbbe che è nelle piccole casette, poco considerate e meno evidenti. Invece è proprio nel grattacielo che abitano il latitante Giovanni Brusca, boss-killer mafioso che azionò il telecomando per avviare la bomba che uccise Falcone e provocò la strage di Capaci, e altri, come Luca Bagarella. Nelle due case fragili e malmesse di fianco vivono due signore, due sorelle sarde, forti e caparbie. Le sorelle Pilliu, Savina e Maria Rosa, presentano caratteristiche insolite nella Sicilia degli anni Settanta e Ottanta: non sono sposate, non hanno mariti o fratelli alle spalle. Hanno un negozio di prodotti sardi a Palermo ma soprattuto hanno la querela “facile”, tendono a voler protestare contro ogni ingiustizia, in un ambiente dove di giustizia se ne vede poca. Affezionate alle loro abitazioni, ereditate dalla madre sarda, le due donne vedono come in poco tempo un costruttore prende i terreni circostanti. Loro, uniche tra una decina di case, non vogliono lasciare il posto dove sono cresciute.

(caricamento...)

Marco Lillo ricorda il cartone Disney Up, in cui il protagonista vede la casa, a cui è molto legato sentimentalmente, danneggiata da lavoratori che stanno costruendo a fianco a lui. La situazione delle sorelle Pilliu è simile, perché anche le loro casette vengono rovinate. A differenza del cartone, la realtà siciliana vede però costruttori mafiosi e pericolosi. Il palazzo sorge in maniera abusiva, senza leggi, cura delle strutture circostanti e alimentato dalla corruzione del costruttore. Le donne convinte nella loro battaglia per la giustizia si chiedono dove sia lo Stato, si recano in prefettura. La triste assurdità è che fu concesso un mutuo per il progetto edilizio. Interviene a quel punto una legge italiana e permette un risarcimento per chi è vittima di mafia, ma lo Stato non riconosce le sorelle come vittime e il costruttore come mafioso poiché stava svolgendo il suo mestiere. Ancora una volta lo Stato non si prende le sue responsabilità. Oltre al mancato risarcimento che spetterebbe alle due signore arriva una cartella esattoriale dallo Stato che pretende le tasse pari al 3% per cento di questa cifra mai arrivata.

(caricamento...)

Questa è un’ingiustizia. Pif conosce la questione e decide di farla emergere. Coinvolge Marco Lillo e insieme decidono di scrivere un libro, il cui ricavato andrà completamente investito per il pagamento della tassa ingiustamente data a Savina e Maria Rosa Pilliu.

«Noi vogliamo tirar fuori le sorelle Pilliu che sono in voi» così dicono i due autori che incitano il pubblico ad essere cittadino attivo e consapevole . «Combattere per la giustizia, perché lo Stato siamo noi. Noi facciamo parte di questo e possiamo combattere la storia». Le due protagoniste incontrano anche tante persone che le aiutano. Primo di tutti Paolo Borsellino, che le ha incontrate per quattro volte, nell’ultimo periodo della sua vita, nonostante l’elevata tensione psicologica. I carabinieri più volte si sono offerti come scorta alle due donne. Tutt’ora l’unica sorella rimasta, Savina, si trova nel suo negozio a Palermo e firma autografi sul libro che racconta la sua storia.

A fine conferenza sorge una domanda: «Come è possibile che dopo trenta lunghi anni di lotta ai mafiosi le istituzioni non abbiano avuto nessuna intimidazione e non si siano arresi?». I due autori rispondo dicendo che probabilmente le due donne sono state sottovalutate e non si è considerata la loro tenacia; inoltre, dopo il 1992 cambia anche la mentalità della mafia, che prima di mostrarsi attraverso uccisioni è più cauta; inoltre i mafiosi non volevano attirare l’attenzione pubblica in un luogo così losco, in cui veniva nascosto un latitante.

Festivaletteratura