L'antifascismo ha ancora significato?
13 9 2020
L'antifascismo ha ancora significato?

Lo sguardo di uno storico sul portato dell'antifascismo

L’antifascismo può ancora avere un significato nella società e nella politica dei nostri giorni? E se sì, in che termini andrebbe interpretato per poterlo vivificare e valorizzare? Risponde presumibilmente in modo affermativo alla prima domanda ed è in cerca di riflessioni e valutazioni sulla seconda il vasto pubblico che a Palazzo San Sebastiano assiste al dialogo tra Andrea Ranzato, docente di storia e letteratura, e lo storico Carlo Greppi.

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La conversazione si sviluppa in una sequenza di penetranti sollecitazioni e interrogativi rivolti da Ranzato a Greppi, autore di recenti volumi quali 25 aprile 1945 e L’antifascismo non serve più a niente. Innanzitutto, se esiste un “fascismo eterno” dotato delle caratteristiche individuate da Umberto Eco nel saggio omonimo, non dovrebbe forse esistere – accanto e al di là dell’antifascismo storico incarnato dalla Resistenza – anche un “antifascismo eterno” che si ponesse come argine, come tensione etica e come vigoroso insieme di valori?

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Secondo la visione espressa da Greppi, la storiografia è chiamata a porsi il problema di articolare giudizi sugli eventi, di esaminare e attribuire responsabilità, di veicolare appunto valori chiari, anche attraverso storie esemplari come quelle – nell’ambito della Resistenza – di Ferruccio Parri, Raffaele Cadorna e Luigi Longo. Compito dello storico sarebbe quindi restare quanto più lontano dalla turris eburnea e da dinamiche autoreferenziali, avendo come stella polare l’esercizio di una funzione mediatrice tra il flusso degli accadimenti storici e lo sguardo critico della società contemporanea.

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È quindi comprensibile che Ranzato domandi al suo interlocutore: nella misura in cui lo storico prende in partenza una posizione ideologica definita, come riesce a preservare la possibilità di raggiungere anche chi appunto non se ne sente definito? In altre parole, per chi scrive Greppi? Rimarcando di non essere nuovo ad interventi decisi nel dibattito pubblico, lo storico segnala di indirizzare il suo lavoro a chi ne condivide a grandi linee i riferimenti valoriali, mantenendosi però aperto – anche nei difficoltosi scambi sui social media – anche a chi comunque dimostri quel modicum di apertura e di onestà intellettuale necessario a intessere un dialogo.

Le domande conclusive da parte del pubblico gettano sul tavolo un ulteriore grappolo di spunti: la Resistenza e l’antifascismo nei programmi scolastici e nella narrativa contemporanea, l’antifascismo nella Genova del 1960, il paradosso dell’intolleranza elaborato dal filosofo Karl Popper, il filo rosso che dal fascismo giunge ad alcune destre contemporanee. In ultima analisi, l’attenzione critica dei partecipanti portano acqua al mulino di chi ritiene che il portato delle idee antifasciste resti in qualche forma fecondo.

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