L'Atene di Pericle
9 9 2017
L'Atene di Pericle

Lavorare meno per lavorare tutti

Rivoluzione dei paradigmi economici, sommovimenti geo-politici, ripensamento della forma città: l'emergenza climatica richiede con sempre maggiore urgenza un nuovo paradigma di pensiero.



Gli esseri umani hanno sempre saputo che il lavoro fosse qualcosa di negativo, sognando sempre di non lavorare. E da buon napoletano, dice Domenico de Masi dalla Basilica di Santa Barbara, non è affatto male lavorare poco o niente.

Già i greci avevano questo sogno e in parte lo misero in pratica nell’Atene di Pericle. Il mondo di Atene disprezzava il lavoro fisico, e lasciava questa incombenza degradante agli schiavi. Infatti, nella città perfetta, non verrà mai data la cittadinanza ad un “operaio”. In seguito, tutte le religioni “inventarono” dei paradisi dove si facevano tante cose ma non lavorare. Tutto questo fino al '700 quando Adam Smith, Marx e Locke ribaltarono il pensiero generale e fecero diventare il lavoro il punto centrale della società. Il lavoro diventa ricchezza per lo Stato, dice Smith. Marx definisce “uomo” la persona che lavora. Poi arrivano le macchine che iniziano a sostituire l’uomo. E qui il pensiero si divide. I liberisti sono convinti che le macchine sostituiranno l’uomo, ma creeranno più lavoro. Altri, per esempio Keynes e Arendt, pensano invece che alla fine la crescita distruggerà l’occupazione. Dopo millenni di agricoltura e artigianato, si passa nello stesso periodo alla produzione (e quindi alla società) industriale, il lavoro non è più cosa da schiavi, inizia la grande produzione in serie di beni e la divisione del lavoro sul modello Ford. Tutto questo convinti che la crescita sia infinita e che le risorse siano infinite.

Oggi sappiamo che non è così per nessuno dei due casi. Inevitabilmente veniamo travolti dal consumismo e il boom demografico è sempre più forte. Le macchine permettono un’aumento esponenziale della produttività e le ore di lavoro diminuiscono. Se il progresso tecnologico fosse gestito da Pericle, andrebbe benissimo. Si andrebbe ancora verso una società dove si lavora poco e si produce sempre di più perché gli schiavi sono stati sostituiti da macchine efficienti. Ma i pochi ricchissimi non redistribuiscono la ricchezza e pochissime famiglie in Italia hanno in mano la ricchezza di sei milioni di cittadini. Roosevelt, durante il new deal, tassò in maniera pesantissima proprio questi ricchi e la ricchezza liberata portò alla creazione istantanea di milioni di posti di lavoro. «Forse un governo di sinistra non dovrebbe vantarsi di non aver aumentato le tasse» afferma il sociologo seguito da un applauso fortissimo. In questi ultimissimi anni si sta assistendo poi ad un'ennesima rivoluzione del lavoro che sposta la produzione verso i beni immateriali, legati al web e alle nuovissime tecnologie. Ma la politica è più che mai succube dell’economia, l’economia della finanza e la finanza dalle società di rating: un circuito perverso che non permette nessun tipo di azione libera da parte del governo.

Il passaggio dall’analogico al digitale è davvero epocale e sta avvenendo con velocità estrema, staccando definitivamente le generazioni giovani da quelle precedenti che sono rimaste indietro. Ma tutto questo sta passando senza una reazione degna da parte dei governi italiani, legati come abbiamo visto a veti incrociati di parti estranee. Bisognerebbe investire in produzione di idee, ma l’Italia ha una percentuale di laureati come quella del Camerun, abbiamo le università a numero chiuso, ci mancano i professori… Saremo costretti ad inseguire una società che avrà sempre meno lavoratori “fisici” e sempre più lavoratori “intellettuali” e produttori di idee.

La mentalità italiana è ancora quella del lavorotore forsennato, che sottrae posti di lavoro a chi lo sta cercando, nascondendo nel contempo la nostra cronica bassissima produttività. Sempre Keynes aveva previsto che entro il 2030 avremmo prodotto più beni di quelli necessari. Sarebbe il momento quindi di abbassare le ore di lavoro, di allinearci perlomeno a Germania o Francia. Invece niente. Addirittura Agnelli aveva chiesto lumi a Luigi Einaudi riguardo la possibilità di sostituire macchine automatiche per poter abbassare le ore di lavoro e produrre di più in modo da lasciare invariati gli stipendi. L’economista lo dissuase. Se lavorassimo come in Germania, con la loro produttività e il loro monte ore lavorate, si libererebbero subito milioni di posti di lavoro. Raggiungeremmo la piena occupazione e ci sarebbe posto anche per altri. Ma gli imprenditori italiani pensano ad altro. Pessimi imprenditori impediscono alla produttività di aumentare. Il marcio non dipende mai dagli operai ma da cattivi imprenditori che si dichiarano liberisti e alla prima difficoltà chiedono sempre e subito soldi allo Stato, dopo aver scaricato sullo Stato stesso milioni di disoccupati. Per poi lamentarsi durante i loro convegni che lo Stato e la Società non funzionano. Cattivi maestri continuano ad insegnare nefandezze ai nuovi manager che crescono con il mito falso e deleterio del super lavoro. Gli uffici del personale poi sono le cose più mefitiche delle aziende, pagati per non fare niente o al massimo per licenziare. Tutti questi dirigenti non hanno mai pensato. Sarebbe ora cominciassero a farlo.

Perché dobbiamo ispirarci all’Atene di Pericle. In quella città nessuno era analfabeta. Si obbligavano i cittadini a vedere le opere teatrali. Ci si riuniva tutti in assemblea una volta alla settimana dall’alba al tramonto per decidere sulla città. Si parlava di politica nel vero senso di polis. Non avevano la mania di arricchimento e di consumismo che logora le nostre città. La nostra è una società tutta sbagliata. Abbiamo il potere di avere la felicità e siamo stoppati da queste pulsioni degenerate. La vita contemplativa deve essere al primo posto, l’amicizia, l’amore, il gioco, la bellezza, la convivialità. Non costa nulla secondo le dinamiche già in atto. Dobbiamo solo cercare di cambiare questo mondo che non va.



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