L'atto del raccontare
12 9 2015
L'atto del raccontare

Scrittori, scritture, cantastorie

Una serie di eventi in cui viene analizzato il racconto nelle fasi della sua creazione: dall'ideazione della storia, alla scelta dei personaggi per terminare con le personalità degli autori.

Il primo applauso parte, spontaneo e caloroso, all’ingresso di Pupi Avati nel Seminario Vescovile. Bruno Gambarotta introduce l’amico come uno dei più grandi narratori viventi. “Narratore, non scrittore! Perché la narrazione esiste da sempre, la scrittura solo da 6000 anni”.

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Pupi Avati non spiega il mestiere del narratore: lo dimostra al pubblico. E dimostra il suo grande talento nel raccontare storie. Questo fa, per tutto il tempo: racconta storie recitandole, alternando le voci, mostrando i dettagli di colore, ricordando i nomi delle vie e le date precise. La sua narrazione è strepitosa, parla creando pause e attese, la sala intera sospende il respiro in attesa della parola successiva, del colpo di scena, della conclusione divertente.

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Narra le storie spaventose che gli venivano raccontate nella sua infanzia contadina, quella paura che serve a scatenare la creatività. La sua avventura di clarinettista e di come finì quando riconobbe il vero talento per la musica in un giovane amico. Dell’enorme invidia che provò per questo amico. E gli occhi diventano lucidi quando dice "Sì, parlo di Lucio, Lucio Dalla". La nascita della storia d’amore con una donna bellissima: quella che dopo 51 anni è ancora sua moglie. Del nano con il gatto che faceva capriole a comando e di “Mister X” che firma 16 assegni da 10 milioni, bianchi sul tappeto verde del biliardo, per finanziare il primo film dell’aspirante regista (un disastro, così come il secondo).

E il pubblico capisce, davvero, senza bisogno di definizioni cos’è il mestiere del narratore.


Dopo le donne, i cavalieri, l'arme e gli amori cantati nei secoli, chi è rimasto oggi a svolgere il difficile compito di cantastorie? Vinicio Capossela con Il paese dei coppoloni e Fabio Genovesi con Chi manda le onde possono certamente definirsi tali, anche se in modi diversi. Dal primo scaturisce la capacità di mediare tra racconto e canzone tipica di chi usa il canto e la musica, come a suo tempo fece Fabrizio De Andrè; il secondo ha una scrittura fluida, scorrevole, che s'intreccia alla musica perché egli stesso ne è un grande appassionato, i suoi protagonisti cantano storie al'interno di altre storie, hanno ritmo, il testo stesso "ti suona" all'orecchio.

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Il loro compito è dare voce alle persone di provincia, che s'incontrano nella quotidianità ed è così che i cantastorie diventano gli stessi nostri nonni, zii, cugini, i bambini delle scuole e gli adulti. I cantastorie di talento possono essere anche i più inaspettati vicini di casa.

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La musica è una grande spinta per la scrittura, spiega Genovesi con un sorriso, perché è anarchica, ribelle. La musica è la vera salvezza di un testo e di ciò che vogliamo esprimere di più vitale. Erano le parole e la loro cadenza precisa a dare un senso a ciò che raccontavano i cantastorie e anche i libri di oggi, che siano scritti da linguisti o da musicisti di professione, hanno bisogno di un certo tempo, di un battito. Senza dimenticare il contenuto, altrettanto importante: non siamo più nell'era del racconto epico, ma i più grandi sorrisi ci vengono strappati dai personaggi grotteschi, dalle situazioni comuni che ci avvicinano ai personaggi dei libri, come nel caso della piccola Luna e della "scoperta della verità" su Babbo Natale nel testo di Genovesi. Altro esempio pratico: l'aneddoto che hanno tutte le famiglie quando si cena insieme, la battuta storica che sancisce la fine di una giornata o i nostalgici "ma ti ricordi quando...?". E quando subentra un linguaggio informale, collettivo, come il dialetto e le sue peculiarità verbali, la storia si fa quasi da sé. Sono cantastorie, infine, quei signori di paese che "mi alla to età saltavo i fossi par longo".

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A un festival letterario come quello di Mantova capita di incrociare giovani autori o vedere per le strade alcune tipologie di cantastorie 'tradizionali', dal poeta di strada che racconta piccole verità (anche scomode), all'osservatore attento che appunta gli sguardi della gente intorno. Qualcuno più famoso, in Francia e poi a Genova, fece lo stesso (non a caso, in musica).

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Così, "tra immagini care per qualche istante", colui che ha il talento - quello ci deve sempre essere - e l'occhio per le infinite storie della nostra quotidianità diventa il cantore delle nuove donne, delle nuove arme, dei nuovi amor.


foto: © stileartedesign da flickr

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