Marco Malvaldi, Chiara Valerio e Marco Filoni sulla creatività umana nell'era degli algoritmi. Tra timori, opportunità e nuovi orizzonti della scrittura.
L’intelligenza artificiale è davvero in grado di superare la creatività umana? È possibile che gli algoritmi, sempre più integrati nei processi creativi, rivoluzionino il nostro concetto di scrittura? Questi interrogativi sono al centro dell’incontro tra Marco Malvaldi, Chiara Valerio e Marco Filoni a Festivaletteratura 2024. Un dialogo che si muove tra entusiasmo e inquietudine, esplorando il futuro della scrittura nell’era delle macchine intelligenti.
Il rapporto tra uomo e macchina è in continua evoluzione, e la scrittura non è immune a questa trasformazione. Strumenti come ChatGPT stanno ridefinendo il ruolo dell’autore, sollevando questioni profonde su cosa significhi creare nell'era digitale. In questo senso l’IA offre possibilità straordinarie: genera idee, scrive bozze e può perfino completare testi autonomamente.
Marco Filoni, moderatore dell’incontro, solleva il primo quesito, citando Yuval Noah Harari: «l’intelligenza artificiale rappresenta un punto di svolta nella storia dell’umanità, ma stiamo comprendendo appieno l’impatto che questa tecnologia ha su di noi?». Malvaldi introduce l’aneddoto della fallibilità di sistemi come ChatGPT, che possono facilmente sbagliare nel rispondere a domande complesse o fornire informazioni errate. Errori che, paradossalmente, potrebbero renderle "più umane" e, di conseguenza, meno minacciose. In fondo l’errore è parte integrante della condizione umana.
E che sia proprio questa fallibilità a rendere più accettabile un’intelligenza artificiale? Perché, diciamocelo, all’essere umano proprio non va giù la possibilità di mettere in discussione l’antropocentrismo che da sempre lo ha visto al centro di tutto (o quasi). Nel 1543, Niccolò Copernico spostò la Terra dal centro dell'Universo, costringendoci a rivedere la nostra posizione nel cosmo. Charles Darwin continuò su questa strada con L’origine delle specie, ridefinendo il nostro ruolo nella biosfera, mentre Freud ci spinse fuori dal centro della nostra stessa mente. Alan Turing, padre dell’informatica moderna, completò questa rivoluzione, mostrando che le macchine possono replicare il ragionamento logico umano, scardinando la nostra superiorità nel regno dell’intelligenza.
«I nostri dispositivi digitali svolgono un numero crescente di compiti che richiederebbero da parte nostra una certa attività intellettuale, se fossero affidati a noi. Ancora una volta, siamo stati spinti ad abbandonare una posizione che ritenevamo 'unicamente' nostra”», evidenzia Luciano Floridi (La quarta rivoluzione, Raffaello Cortina Editore, 2017).
Questa crescente delega, non solo ridimensiona la nostra centralità, ma apre anche un interrogativo cruciale: cosa resta di autenticamente umano in un mondo in cui le macchine sembrano fare sempre più parte del nostro stesso processo creativo? In questo contesto, la creatività non sta forse andando incontro a una morte certa? Ne andrebbe limitato l'uso?
Malvaldi, con il suo consueto pragmatismo, ricorda le parole di Enzo Mari: «la creatività produce solo merda». «La vera creatività - suggerisce Kenneth Goldsmith (Ctrl + C, Ctrl + V, Neri, 2019) - può risiedere anche nel riuso, nella riorganizzazione, in uno spirito dadaista di rielaborazione di ciò che già esiste». Forse non si tratta tanto di competere con le macchine, quanto di trovare un nuovo spazio di espressione in un mondo in cui gli strumenti digitali ampliano le possibilità.
Chiara Valerio interviene trovando «agghiacciante l’ipotesi di limitare l’uso dell’intelligenza artificiale». Secondo lei, sarebbe «folle ostacolare l’accesso a quello che effettivamente è il più grande strumento di conoscenza mai creato». Continua, «siamo ancora in una fase cibernetica, in cui la tecnologia è uno strumento di supporto, non un'entità autonoma che sostituisce il pensiero umano.
Un dialogo - quello tra Valerio, Malvaldi e Filoni - che ci spinge a riflettere sulla necessità di non cadere né in un tecnofobico rifiuto dell’intelligenza artificiale né in una sua visione acritica e utopistica.