La casa che resta
12 9 2015
La casa che resta

Asterusher. Un'autobiografia per feticci

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Stando al dizionario, nell'accezione più concreta e comune del sostantivo maschile 'oggetto' rientra "ogni cosa che cada sotto i sensi dell’uomo". In Asterusher, l'inventario letterario di oggetti che Michele Mari ha realizzato intrecciando i suoi testi con le immagini del fotografo Francesco Pernigo, gli 'oggetti' travalicano la misura della definizione: come tante madeleines proustiane, a ognuno di loro è indissolubilmente legato un capitolo dell'autobiografia per feticci che vanno a comporre.

Sono tutti contenuti in due case: quella enorme e misteriosa dove Mari bambino trascorreva le sue estati - dotata delle sue "brave estensioni gotiche", racconta, in grado di terrorizzare i suoi ospiti, la torre e la cantina - e quella milanese del Mari adulto, o meglio del "bambino vecchio" che gli piace pensare di essere diventato con gli anni.

Queste case, come archivi, custodiscono gli archetipi degli oggetti disseminati nei libri (e nei ricordi) di Michele Mari...

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Dalla vasca di graniglia usata dal vecchio Felice per sciogliere il verderame, ai puzzle ricomposti da bambino sotto la guida della madre Iela, al seggiolone di legno da cui cadde a sette anni, fino al divano sul quale ha letto forse una buona metà dei libri letti in via sua, inventariati e immortalati in questo regesto emotivo. Quella che vien fuori è un’identità letteraria e ambigua, come ambigue sono quelle, richiamate nel titolo, dell’Asterione di Borges e degli Usher di Poe.

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