La cura degli altri
10 9 2021
La cura degli altri

Appartenenza, amore e giustizia - Il Festival da remoto - Giorno 3

Festivaletteratura raccoglie la sfida e continua a orientarsi verso un racconto sempre più diretto e coinvolgente anche per chi lo vive da lontano. Di seguito il resoconto del primo giorno, raccontato da una volontaria in diretta da Venezia.


Inizia il terzo giorno di Festival e sento che mi sto abituando a questa nuova routine: mi sveglio grata di ciò che ho imparato ieri e curiosa di scoprire cosa ascolterò oggi. Questa volta si comincia in grande: il primo incontro è condotto da niente meno che Bianca Pitzorno! Se non siete cresciuti tra i suoi libri come me, non potete capire il mio entusiasmo. Mentre aspetto che cominci l’evento, prendo dallo scaffale la mia copia del suo L’incredibile storia di Lavinia, il primo libro in assoluto che ho letto, e mi lascio trasportare dai ricordi. Alle 10.30 il computer è sintonizzato sul sito del Festival e sono pronta ad assistere alla diretta streaming dell’incontro.

I due ospiti, Francesca Melandri e Marco Balzano, condividono l’attenzione nei confronti del tema dello spostamento. L’ultimo romanzo di Melandri, Sangue Giusto, è incentrato sulla deflagrazione tra appartenenza e non appartenenza: l’estraneità biologica ha concreta importanza o riguarda solo questioni geopolitiche? L’ultimo romanzo di Balzano, Quando tornerò, affronta il tema della cura: negli ultimi trent’anni la migrazione è cambiata ed è diventata donna, perché il gran numero di migranti non è più costituito da uomini che offrono la forza delle braccia ma da donne che offrono cura verso l’altro. In inglese il lavoro della badante viene indicato con un termine più azzeccato rispetto alla traduzione italiana: “caregiver”, ossia “donatore di cura”. Se quando si pensa alla premura si pensa al genere femminile è evidentemente una questione culturale, fortemente condizionata dalle stesse leggi che regolano il Paese (un esempio: in Italia il permesso di paternità dura dieci giorni, in Spagna sedici settimane), ma Balzano ritiene che prima di affrontare la questione di genere sia necessario affrontare quella di classe: se molte donne italiane sono riuscite ad emanciparsi da mestieri socialmente poco riconosciuti e considerati femminili è solo perché hanno lasciato il fardello nelle mani di donne immigrate.

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Bianca Pitzorno porta l’attenzione all’idea molto diffusa che ogni libro sia un’autobiografia – più o meno mascherata – del proprio autore. Entrambi i romanzi sopracitati, tuttavia, hanno come protagoniste figure molto distanti da chi le ha inventate. Ma che diritto ha uno scrittore ad avere la pretesa di dare voce a persone con esperienze così diverse dalla propria? Ascolto con grande interesse, perché è una questione che mi sono sempre posta anche io come lettrice. Melandri crede che ne abbia tutto il diritto, ma a due condizioni: la prima è fare molta ricerca, perché avere le informazioni adeguate è come avere il passaporto per entrare in quel mondo lontano dal proprio; possedere questo passaporto non è però sufficiente, infatti la seconda condizione è lasciare se stessi al di là della frontiera, non tentare di mimetizzarsi in qualcosa che non ci appartiene ma annullarsi per lasciare dentro di sé lo spazio necessario a contenere l’altro. Balzano concorda: conoscere esperienze diverse dalla propria e restituirle a platee più ampie è l’aspetto che preferisce del proprio mestiere. Questo incontro si è rivelato molto generoso con me: mi ha permesso di conoscere due nuovi autori e di ascoltare le loro riflessioni su argomenti decisamente attuali, alcuni strettamente letterari, altri meno.

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Ormai è passato mezzogiorno, quindi spengo il computer e vado in cucina a preparare il pranzo. Mentre mangio penso a quanto sia preziosa l’opportunità di seguire a distanza un così grande numero di eventi del Festival: svariati sono quelli trasmessi in diretta streaming, altrettanti quelli disponibili on demand sul sito della kermesse dal giorno successivo. E poi c’è la radio: quindici programmi a rotazione nel corso di tutta la giornata. Dopo pranzo mi sintonizzo sull’edizione del primo pomeriggio del giornale radio per ascoltare gli approfondimenti del giorno. Per la rubrica Posta del cuore viene letta una lettera al comico Valerio Lundini, che terrà proprio questa sera un evento a Mantova.

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Il romanziere Marco Archetti è poi il protagonista per la rubrica Al mio maestro, in cui vengono chieste agli ospiti del Festival le loro guide letterarie. Nell’intervallo tra il giornale radio e il prossimo incontro decido di uscire in giardino e proseguire la lettura del libro che ho sul comodino in questi giorni (una copia sgualcita de L’insostenibile leggerezza dell’essere di Kundera presa in prestito dalla biblioteca).

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Porto fuori anche il cellulare, così alle 15.40 sono pronta per aprire la app Radio Festivaletteratura e ascoltare il nuovo episodio di Autrici di civiltà, il programma radiofonico in cui l’insegnante Annarosa Buttarelli dà voce e spazio a donne che con il loro lavoro contribuiscono a scrivere la storia del nostro mondo. La puntata di oggi costituisce in parte un’eccezione: c’è una voce maschile a parlare di donne, quella di Filippo La Porta. Nel libro Il bene e gli altri. Dante e un’etica per il nuovo millennio, egli pone la relazione con l’altro a fondamento della polis. Come deve essere questa relazione? Il prossimo spesso non accetta il nostro soccorso – e sarebbe presuntuoso credere di essere sempre in grado di offrirglielo – ma desidera essere ascoltato e riconosciuto: «il bene è dare realtà all’altro». Bisogna saper essere «passivamente ricettivi», cioè lasciare agli altri la possibilità di esprimersi ed essere attenti a cogliere i momenti in cui lo fanno. A tal proposito, La Porta introduce il contrasto – ma non l’incompatibilità – tra giustizia e amore: laddove la giustizia è bilancia severa, l’amore cerca di temperarla con la pietà. Allo stesso modo Leonardo Sciascia affermava che ogni giudice dovrebbe passare tre giorni in carcere prima di emettere una sentenza, così da aprire un varco per l’amore nelle rigide strettoie della giustizia. E la stessa Divina commedia è un appello alla rinascita e alla metamorfosi: «siam vermi nati a formar l'angelica farfalla» (canto X del Purgatorio).

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