La curiosità uccise il gatto... Ma non lo scrittore
11 9 2022
La curiosità uccise il gatto... Ma non lo scrittore

John Freeman e Marco Peano in dialogo sulla virtù più necessaria per chi scrive, e non solo

John Freeman ama essere molte cose. Scrittore e critico letterario, uomo di poesia e di editoria, uomo di scrivania e di viaggio, e già da tempo amico di Mantova. Sul palco di Festivaletteratura arriva coi capelli bagnati, fresco di una corsetta mattutina che - dice - lo aiuta a non farsi incastrare dalla ripetizione della quotidianità: concentrarsi sulla natura, sistema estremamente complesso, gli ricorda di fare sempre attenzione a più cose insieme. Che è l'unico modo di stare dentro un mondo complicatissimo e spesso contraddittorio.

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Non è un caso infatti che quando Marco Peano, scrittore, gli chiede come faccia a mantenere attiva questa curiosità esplosiva e multidirezionale, Freeman non si accontenta di rispondere, e rigira la domanda: così l'intevistatore diventa intervistato. D'altronde, non si perde mai occasione di interpellare uno scrittore, e capire come un'immaginazione creativa sappia leggere lati nascosti della realtà che ci circonda. Peano si definisce «stalker dell'esistenza», curioso verso qualsiasi aspetto della realtà, specie di quelli che emergono dalle persone sedute su una panchina o a un tavolino del bar, osservate di sottecchi dall'occhio mai sazio di scrivere.

Eppure la realtà non è solo questa qui. Peano, abilissimo intervistatore, collega subito la dimensione psicologica dell'animo umano a quella politica, dimostrando che noi, effettivamente, siamo il mondo che ci circonda, ce lo portiamo dentro e ne siamo una parte imprescindibile. In fondo, Freeman stesso definisce la sua rivista letteraria, Freeman's, come una «creazione di comunità», una comunità di scrittori che interpretano il mondo. Senza mai arroccarsi nelle proprie posizioni, ma mettendosi in dialogo con i lettori, al punto da far saltare la distinzione stessa tra chi scrive e chi legge. Gli scrittori leggono la realtà, i lettori la scrivono vivendoci dentro.

E la lettura diventa così profondamente politica. Saper interpretare la realtà è il primo passo per viverla davvero, e per saper immaginare un futuro diverso, migliore. Il che non significa perdersi in un ottimismo da faciloneria, ma rimanere saldi in un ottimismo scettico, cinico, capace di mostrarci anche le cose peggiori della nostra contemporaneità. Freeman cita a tal proposito due opere molto diverse e molto simili, scritte da due ospiti del Festival: Sarah Smarsh e il suo saggio sulla vendita di plasma da parte degli americani working class, e la poesia di Ben Okri in onore dei morti della Greenfell Tower. Poesia e non-fiction unite dallo stesso scopo: raccontare storie di un crudo realismo, ma che non spiccano come dovrebbero, soffocate dalla polifonia dell’esistente.

È questo il bello della letteratura realistica, la prediletta di John Freeman: la quotidianità delle persone contiene in nuce un'incredibile complessità politica e sociale, e gli scrittori, anziché appiattirla come fanno i social e i mass media, hanno come delicatissimo compito proprio quello di restituire questa complessità, farla spiccare dalla pagina. È veramente un lavoro duro, scrivere… Ma qualcuno deve pur farlo.

Festivaletteratura