​La forza della nona arte
12 9 2015
​La forza della nona arte

Chiacchierata sul fumetto arabo con Lena Merhej

In una situazione complessa come quella del mondo arabo attuale, il fumetto si sta ritagliando uno spazio sempre maggiore e a darne prova sono kermesse come il Festival Internazionale del Fumetto di Algeri o il Comics Festival del Cairo e riviste come Jad Workshop o Samandal in Libano, di cui Lena Merhej è cofondatrice, Skefkef in Marocco o Tok Tok in Egitto, nata nel 2011 appena prima dell’inizio della rivoluzione. Sono riviste i cui autori, spesso cresciuti leggendo le strisce della Marvel, di Tintin o di Asterix, non hanno necessariamente studiato fumetto e possono essere pittori, architetti ma anche dentisti o impiegati che sentono il bisogno e il piacere di esprimersi in questa forma.

Spesso i redattori di riviste si pongono il problema della lingua: scrivere solo in arabo o anche in altre lingue affinché il messaggio possa arrivare anche fuori dal mondo arabo? Le soluzioni sono diverse: si va dalla satira in vernacolo egiziano di TokTok alla scelta di pubblicare in tre lingue come fa Samandal oppure all’eliminazione completa della parola, come la stessa Merhej ha fatto nel racconto Machine, che rende il contenuto delle strisce potenzialmente capace di valicare qualsiasi barriera linguistica.

Chiaramente l’uso dell’immagine offre molte opportunità: si possono camuffare e occultare contenuti che potrebbero rimanere impigliati nella rete della censura. Ma esistono anche dei rischi: ambiguità, interpretazioni errate, anche da parte della censura stessa, come è accaduto a Lena Merhej, sanzionata con una multa a causa di una vignetta passata a torto come antireligiosa, quando invece invitava i concittadini a moderare il linguaggio eliminando espressioni offensive per le diverse confessioni. Ovviamente religione e politica sono i campi in cui è più difficile muoversi, ma anche la raffigurazione di nudità può costituire un problema, tanto che Samandal è stata censurata in Giordania.

Ad ogni modo, Lena Merhej su un punto è chiarissima: fare satira o toccare l’attualità come in I think we will be calmer in the next war (2006) non è strettamente necessario, il fumetto è arte e in quanto tale deve essere finalizzato innanzitutto alla creazione del bello.

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