La gente mi moriva attorno
8 9 2017
La gente mi moriva attorno

Ricordi di amici e di lotta alla mafia.

Dai continenti dimenticati al digitale, passando per l'evoluzione del ruolo dell'inviato: come sta cambiando questa figura del giornalismo? Al Festivaletteratura di Mantova si cercherà di analizzare diversi aspetti di questo mondo, tanto affascinante quanto alle prese con una profonda crisi.


Sono passati venticinque anni dalla fine del Maxiprocesso, ma molto c’è ancora da raccontare su Cosa Nostra. Venticinque anni dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio, in cui la mafia uccise i giudici Falcone e Borsellino, la moglie di Giovanni Falcone e diversi agenti della scorta.

Storie di sangue, amici e fantasmi, di Pietro Grasso, è un racconto di una vita passata a combattere Cosa Nostra assieme ad amici e colleghi, descritti con affetto e stima, accumulando insuccessi e vittorie decisive, anche grazie ai collaboratori di giustizia. E, sempre, ricordando l’esempio di dedizione alla verità di Falcone e Borsellino. Con Giovanni Bianconi, autore de L’assedio, Pietro Grasso ripercorre in Piazza Castello questi ricordi.

Si parte col Maxiprocesso di Palermo in cui, a partire dal febbraio 1986, 476 imputati vennero giudicati per svariati reati connessi alla mafia. Dal punto di vista giuridico, il processo fu il primo momento in cui la verità giudiziaria riconobbe l’esistenza della mafia come organizzazione. Un cambiamento immenso: se prima ogni colpevolezza doveva essere dimostrata in relazione ad uno specifico reato, da quel momento sarebbe bastato “solo” dimostrare l’appartenenza di una persona alla mafia. Grasso racconta come divenne giudice a latere di questo processo: in vacanza, con la famiglia, riceve una chiamata del Presidente del Tribunale, che vuole assolutamente vederlo, al punto di mandargli una macchina con autista. Gli dice che è un giovane stimato, preparato, diligente, preparando una proposta molto impegnativa, che Grasso subodora. Lui in cuor suo ha già deciso di accettare, ma prende 24 ore per parlarne con la moglie, sapendo che la loro vita sarebbe cambiata: minacce, delegittimazioni, pressioni, una vita in pericolo. Ma la risposta non potrebbe essere più partecipata: «hai realizzato il tuo sogno di fare il magistrato, è il tuo lavoro e il tuo dovere, e quel che consegue lo sopporteremo insieme.» Dal punto di vista umano il Maxiprocesso è legato poi, per Grasso, anche a una serie di aneddoti, che possono sembrare banali, ma in realtà sono stati fondamentali per superarne la durezza. Dal piccolo cortile, fatto costruire nell’aula bunker, per fare un po’ di esercizio pure nel lungo periodo di clausura per la sentenza, al cuoco che, pur non potendo incontrare il Presidente del processo e Grasso, cercava di soddisfare le loro richieste in fatto di cibo.

Ma la lotta alla mafia, oltre che di processi, è fatta anche di attentati per fortuna falliti. Come ad esempio quando Riina mandò a Roma un commando formato da diversi dei killer più feroci di Cosa Nostra, fra cui Messina Denaro, con l’obiettivo di uccidere Falcone o Martelli, o alcuni giornalisti che si occupavano di mafia. Grasso e Falcone erano soliti mangiare insieme in un ristorante vicino al tribunale. Per fortuna, la soffiata ricevuta dai mafiosi era imprecisa, sbagliata nel piatto tipico: mentre i due si trovavano a “La Carbonara”, i mafiosi li stavano aspettando a “Il matriciano”.

La morte è purtroppo una compagna quotidiana per l’antimafia. Morte che può colpire un amico o un collega in ogni momento, tragica ma non sorprendente. Ma come disse Falcone, riportato da Grasso, «sono un siciliano. Noi con l’idea della morte siamo abituati a convivere. Io so che in questo momento la mia vita vale meno di questo bottone». Ma sapere che si può morire non significa sentirsi sconfitti. Anzi, come riporta la citazione di Harper Lee, scelta in exergo al libro, «aver coraggio significa sapere di essere sconfitti prima ancora di cominciare, e cominciare egualmente e arrivare sino in fondo, qualsiasi cosa succeda.» E quello che succede, e che Grasso racconta, è anche una anti-epica dell’insuccesso: mancati arresti e difficoltà delle indagini sono la quotidianità, di fronte alla quale è necessario perseverare con grande senso del dovere, senza essere eroi, ma facendo il proprio lavoro al meglio ogni giorno.

È questa la lezione da trasmettere ai giovani, a chi è nato dopo il 1992 e a chi è cresciuto da quando Cosa Nostra ha scelto la strategia della sommersione. Conoscere la storia della mafia e dell’antimafia. Conoscere la storia dell’Italia. Perchè «la mafia non ha paura del tempo, neanche noi che la combattiamo dobbiamo averne. Mai smettere di cercare la verità».



Per chi vuole approfondire il percorso, Festivaletteratura propone gli eventi 19 RACCONTARE L’AFRICA NON RENDE ALLA CARRIERA - 47 LETTERE DALLA GUERRA - 93 QUANDO SCOMPARVE IL “NOSTRO INVIATO” - 227 LA VERITÀ DELLE IMMAGINI

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