La normalità può essere stravagante
8 9 2017
La normalità può essere stravagante

Tra tenerezza e comicità, Genovesi racconta cosa significa essere felici

Tre navate affollate ed il brusio che precede gli eventi. L’aria fuori è fredda e umida, ma le centinaia di sedie occupate nella Basilica di Santa Barbara non sono state riempite da chi cerca riparo. La folla variegata e dallo sguardo curioso di chi aspetta qualcuno è lì per Fabio Genovesi, l’autore di Forte dei Marmi che lo scorso 5 settembre ha pubblicato il suo ultimo e atteso romanzo Il mare dove non si tocca. Appena si presenta sul palco accompagnato da Francesco Abate, gli applausi sono pieni e seguiti da un silenzio che somiglia proprio a quello di una cerimonia religiosa.

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Gli autori sembrano due amici di vecchia data e colloquiano scambiandosi battute, rendendo l’atmosfera fin da subito divertente. Una conversazione scorrevole e rilassata, dove le domande sono solo input che servono a dipanare i punti cardine della trama de Il mare dove non si tocca, titolo al quale è legato un assurdo ma reale aneddoto secondo cui Giancarlo Antognoni, ex-centrocampista della Nazionale italiana degli anni ’80, sarebbe stata la persona che ha insegnato a Fabio Genovesi a nuotare.

Dalle risposte meticolose del «magro, ma giusto» Genovesi viene fuori l’importanza che il mare ricopre nella sua vita – un punto di riferimento, una valvola di sfogo - tema che ricorre in tutte le copertine dei suoi romanzi. Così come ricorre la provincia, fucina di storie strampalate, eppure così profonde e significative, come quella autobiografica narrata nel recente romanzo, dove il piccolo Fabio cresce con un padre che somiglia a Little Tony, una madre legata alla fede e all’ambiente di chiesa ed è circondato da undici nonni scapoli, tutti sprovvisti di uno o più dita perché averne dieci sarebbe «esagerato» e segno evidente di una vita non vissuta a pieno. Nonni dal nome che, per una strana tradizione adottata in famiglia, inizia sempre con la lettera A, che rispettano un calendario per poter trascorrere del tempo con il nipote, per avviarlo a passatempi genuini, legati ad una vita di campagna scandita da altri ritmi, più lenti. È un contesto famigliare strambo, ma assolutamente normale e felice per Fabio, che definisce la normalità come «tutto quello che ti succede intorno». E se intorno hai undici nonni, vuol dire che possono essere undici, e non solo quattro, come poi scoprirà un giorno a scuola.

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Un libro che Francesco Abate definisce «un vulcano» a livello narrativo, per i suoi intrecci di storie e la ricchezza di aneddoti, in cui l’ambiente di provincia della Versilia emerge in modo pittoresco e stravagante. Dove l’ignoranza, nella sua accezione più letterale – il non sapere –, è l’ingrediente fondamentale perché nascano storie belle ed interessanti, proprio perché non sapere è ciò che spinge ad interrogarsi e a darsi dunque delle risposte. La narrazione nella tecnica di Genovesi deve essere assolutamente libera da schemi e griglie: «se in fase di scrittura lasci che la storia prosegua e si sviluppi da sola, tutto alla fine torna, il cerchio si chiude, e lo scopri solo alla fine, senza saperlo prima».

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«Volevo raccontare una storia di felicità e cosa significa essere felici», spiega, come lo è stato lui durante la sua infanzia segnata dal passaggio di memorabili personaggi di paese, come il nonno che viveva in una roulotte senza ruote e raccontava storie alle piante per farle crescere meglio, o le band che suonavano alle feste dell’Unità. «Ma il mio è anche un inno alle storie meno agiate e per questo più dense di contenuti, più interessanti. Volevo cantare le vicende della gente che, in fondo, ha davvero costruito questo Paese».

Tra le sue digressioni, Genovesi si chiede se anche questa volta il suo libro piacerà o meno, ma alla fine dell'evento la lunga fila per il rito della firma delle copie, gli sguardi inteneriti e i sorrisi stampati sui volti del pubblico sembrano già un rassicurante «sì».

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