La parola che canta
10 9 2017
La parola che canta

Terzo e ultimo appuntamento

Nel mondo della letteratura il 2016 verrà ricordato come l’anno in cui il Nobel per la Letteratura è stato assegnato a Bob Dylan. Nonostante le polemiche, da tanti anni nell’ambiente si avanzava l’ipotesi di riconoscere questo prestigioso premio al cantautore e, finalmente, è successo. Per celebrare questo evento, che sancisce il connubio arcaico e secolare fra poeti e musicisti, quest’anno Festivaletteratura - insieme al Centro Internazionale d’Arte e Cultura di Palazzo Te e il Museo Civico di Palazzo Te - ha ideato La parola che canta: tre serate di festa itinerante fra le splendide sale di Palazzo Te per avvicinare il pubblico all’incontro fra poesia e musica.


C’è un fil rouge che lega la Che bambola ri-proposta dai Kriminal Tango nell’Esedra alla Canzone delle Osterie di fuori porta nella sala polivalente. È solo un assaggio della terza ed ultima serata de La parola che canta a Palazzo Te.

Quelle atmosfere create da due artisti apparentemente distanti tra loro (Buscaglione e Guccini) hanno in comune la descrizione di ambienti che non esistono più: «Osterie fumose che, soprattutto a Bologna, hanno lasciato il posto a ristoranti costosi e turistici. Le canzoni di Guccini non potrebbero più descriverle». Queste le parole di Alberto Bertoni, poeta e curatore della “quasi autobiografia” di Guccini, Non so che viso avesse. Il cantautore non può presenziare al Festival per motivi di salute, ma è più presente che mai. Soprattutto, appunto, nelle canzoni riproposte dal suo chitarrista storico, Flaco Biondini (Un vecchio e un bambino, Incontro).Fino a quella Dio è morto che, come sottolineato, pare scritta oggi, tra una politica che è solo far carriera, miti della razza o della patria.

Si parla di cantautorato anche in Una poesia pop-orale con Giuseppe Antonelli. Il linguista mette a confronto le parole delle più note canzoni italiane. Si scopre così che il Baglioni di Questo piccolo grande amore, oltre a fare largo uso di forme colloquiali, fu anche costretto ad affrontare la censura e a cambiare la parola “nuda” con “sola”. Lo stesso stratagemma, tra l’altro, era già stato utilizzato anche da Modugno, a dimostrazione di quanto la poesia popolare (che, è bene ripeterlo, può sfociare nella canzone) possa assomigliarsi pure nella condanna.

Ma la canzone “pop-orale” può proporre anche veri e propri ermetismi, come quelli usati da De André in Amico Fragile, con visioni lisergiche di stampo dylaniano. Va detto che ogni parola è anche lo specchio dei tempi: una canzone come Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers nomina le «grandi puttane» con cui si risolvono tutte «le avventure in codesto reame». Non è un caso che la canzone sia del 1968.

Festivaletteratura