La poesia ha a che fare col circense
9 9 2022
La poesia ha a che fare col circense

animali viventi e viventi animali in giro con il furgone poetico

Sono le 17.30, l'allarme pioggia è definitivamente rientrato: lo conferma il pubblico che aspetta il poeta cercando con zelo angoli di ombra, e l'inconfondibile e convinta voce che esce dalle casse del furgone poetico, puntuale in piazza in Piazza Virgiliana. Del resto, osserva qualcuno tra il pubblico, un incontro sulla poesia non poteva che partire da sotto la statua del Sommo Poeta.
Il poeta di oggi sale sul furgone, si mette davanti al leggio e timidamente si presenta. È Francesco Maria Tipaldi ed è la prima volta, ammette, che legge poesie da un furgone, ma sembra a suo agio, del resto «la poesia ha molto a che fare col circense».

Inizia così, dopo una prima ricognizione e riconoscimento del luogo declamatorio, la lettura delle poesie. Tipaldi sceglie di cominciare con alcuni testi che ha scritto prima dei 25 anni, tratti dalla sua prima raccolta, Traum (2014). Si cambia raccolta e il poeta legge da Nuova poesia extraterrestre (2016), Spin 11/10 e anche inediti.
Colpisce da subito l'ironia dei suoi componimenti, qualche parola fuori dal canone poetico, le immagini fulminee e inaspettate. Qualcuno sorride, qualcun altro è scettico; partono alcuni applausi.

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Per la prima tappa, è abbastanza. Il furgone riparte, e gli ascoltatori lo seguono. Nei pochi metri che mancano a raggiungere la sosta successiva si scambiano commenti. La poesia è sempre meno immediata della prosa, sostiene qualcuno: c'è bisogno di sentirne ancora, per provare a capirla meglio. Non è una questione di lessico, specificano, le parole sono chiare, anche facili; è proprio la natura stessa del linguaggio poetico, evidentemente, a pretendere più cautela, a mettere in crisi l'ascoltatore razionale che da subito cerca di spiegare i nessi e le dietrologie di quelle immagini tanto nitide, eppure così sfocate.

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Seconda tappa, altre poesie. Compaiono gli animali, quelli che danno il titolo all'evento. Arriva la scimmia ginecologa, il lama, donne con i denti da ippopotamo. Si conferma una poesia mordace, a tratti provocatoria, ma anche intima. Tipaldi non spiega nessuno dei suoi testi, se non quello per la nonna, un'insegnante di chimica e di fisica, che, invece che raccontargli fiabe, lo terrorizzava con le dimensioni del cosmo: «mi dicevi noi siamo mosche nere in uno straccio bagnato». Il poeta, confessa a un ascoltatore, che oltre a comporre in versi lavora come farmacista, di quarta generazione, ma poeta di prima. E la scienza si sente in questi versi dal furgone, emerge nella parola esatta, nei riferimenti chirurgici al corpo e alle sue debolezze.

Si riparte, ci si riconfronta. Non è poi così sconnessa questa poesia.Inizia il terzo momento della lettura. Ci sono formiche, uomini conservati nell'olio, granchi, pipistrelli. C'è la dichiarazione poetica di una «brutta poesia», ma chi ascolta non sembra essere d'accordo. «Questa mi è piaciuta, anche se non ho capito cosa voglia dire», sussurra qualcuno dai banchetti davanti al furgone. Probabilmente è proprio questa la chiave della poesia: rinunciare alla logica a tutti i costi, riconoscersi in un'immagine, cogliere come vera una parola, lasciarsi afferrare.


Siamo all'ultima fermata del furgone poetico. Non si è mai smesso, per strada, tra una tappa e l'altra, di parlare di poesia tra chi seguiva il furgone dalla prima sosta e chi, a mo' dell'uomo di latta o dello spaventapasseri, si è unito via via al cammino poetico. È l'incantesimo del furgone poetico: far parlare di poesia, del suo senso oggi, delle sue peculiarità; interrogarsi sulle parole, muovere i versi per la città. «Non importa se non la capisci tutta, l'importante è che emozioni», conclude uno degli ascoltatori della prima ora.
Tipaldi, per l'ultima tappa, riprende poesie più giovani e poesie più recenti. Chi ascolta comincia intuire l'evoluzione di quei versi, a collocarli; vede gli animali vivi e gli animali e i vivi che si sono portati in giro per queste quattro tappe. Si accetta di emozionarsi, di restare confusi, di lasciare aperte alcune domande, di apprezzare l'immediatezza di alcuni accostamenti. Non si ha più paura di «quel nulla con cui i poeti vanno fuori a giocare».
Qualche risata, ancora applausi, più sinceri: «l'importante è che emozioni». E il furgone riparte.





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