La realtà nascosta delle carceri
12 9 2015
La realtà nascosta delle carceri

Simbologie e quotidianità di un non luogo

La vita nelle carceri italiane è scandita dallo scorrere di un tempo vuoto, che assorbe i sentimenti e le azioni dei soggetti, i quali in pochi metri quadri spendono le loro giornate. “Do time” dicono gli inglesi, fare del tempo: un espressione che racchiude la durezza della realtà carceraria, nella quale non si fanno cose, non ci si impegna in attività, ma si aspetta che il tempo scorra duro ed imperterrito, senza cambiare. E se si cerca come fine ultimo della sanzione carceraria il cambiamento, o meglio la riabilitazione, in questo sistema c'è qualcosa di sbagliato alla base, poiché è un fine non raggiungibile in un luogo dove l'individuo perde il senso di sé e vive in continua attesa.

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Per questo motivo Luigi Manconi e Maurizio Torchio hanno presentato i loro lavori al Festivaletteratura, per poter portare avanti un dibattito che scuota le coscienze e porti ad un radicale stravolgimento della realtà carceraria. Torchio presenta il vissuto di un carcerato medio, e attraverso i suoi occhi da voce a chi non è libero di esprimersi. Manconi invece cerca di spiegare il perché della proposta di abolizione delle carceri italiane attraverso racconti e fatti: il 70% circa degli ex carcerati è destinato a commettere di nuovo reati una volta fuori. Allora a cosa serve l'umiliazione e l'isolamento imposto dalle carceri? Apparentemente ha un solo scopo: infantilizzare gli individui. Con questo termine l'autore definisce una serie di comportamenti il cui fine ultimo è la spersonalizzazione dei soggetti, un modo di controllarli e renderli dipendenti dal sistema. Ciò che ci si dovrebbe chiedere però è come poter dare loro le capacità autonome per vivere una vita pienamente legale. Parte della soluzione potrebbe risiedere nelle misure alternative alla detenzione che mostrano numeri di recidiva minore rispetto alla carcerazione.

Scopino, spisino, domandina, sono i termini che scandiscono la vita dei detenuti, umiliandoli e uniformandoli ad una massa che di personale non ha nulla, nemmeno gli spazi minimi di vita giornaliera.

Il dramma delle carceri però ha un secondo volto. Gli agenti di polizia penitenziaria risentono dello spirito che si respira in questi luoghi: costretti per lavoro a condividere gli stessi spazi e gli stessi ritmi di vita dei detenuti rischiano la loro sanità psicologica tanto ché dalle ultime rilevazioni si constata che in Italia ogni due mesi una guardia carceraria si toglie la vita. Questo è un dato di fatto che la gente ignora, che l'opinione pubblica non solleva e che le istituzioni non riescono a curare. Una malattia silenziosa che si amplifica giorno dopo giorno.

Dimentichiamo quindi la leggerezza delle carceri rappresentate nelle serie TV americane e rendiamoci consapevoli che questa condizione a detta di Manconi è “coatta e innaturale” e che non è qualcosa da ignorare, bensì da mettere in luce affinché ci si preoccupi di trovare una soluzione riformando un sistema che spesso dimostra di essere obsoleto e repressivo.

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Festivaletteratura