Le montagne di Paolo Cognetti
10 9 2017
Le montagne di Paolo Cognetti

L'incontro con il vincitore del Premio Strega

Arriva insieme la coppia di amici Paolo Cognetti e Folco Terzani nel cortile di Palazzo San Sebastiano già gremito di gente, fuori una serpentina di persone speranzose di vedere, ascoltare, incontrare l’autore.

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Cognetti appare come nei suoi libri: misurato, essenziale, sicuro. La sua familiarità con il mondo della montagna è percepibile dalla calma travolgente con cui racconta di quando avvertì, ad un certo punto, il bisogno di staccare dalla vita di città e abbracciare un modus vivendi frugale. Come Thoreau, che abbandona tutto per andare a vivere in una capanna sul lago Walden, Cognetti risale la montagna in cerca di libertà (confessa di aver provato a coltivare dei porri ad alta quota, ma sembra che l’esperimento sia stato fallimentare). La montagna è la pagina bianca da cui decide di ricominciare, sui monti sembra riconciliarsi con la propria infanzia milanese. E dal suo rifugio sorgerà il bisogno di scrivere…

«Mio padre aveva il suo modo di andare in montagna. Poco incline alla meditazione, tutto caparbietà e spavalderia» cita a memoria Cognetti. Le otto montagne si concentrano su due tipi di rapporti: quello tra due giovani uomini, Pietro e Bruno, che richiama l’energia dell’antica e mitica amicizia tra monaco e artista (si pensi a Narciso e Boccadoro) e quello tra un padre ligio alla ferrea disciplina dell’arrampicata e il figlio, fragile, sensibile, capace al contrario di costruire e mantenere nel tempo quei legami che il padre non era riuscito a creare. C’è uno strappo tra i due, ma c’è anche la nostalgia per qualcosa che è stato perduto dalle giovani generazioni e che i nostri avi ci hanno lasciato, come l’eredità di Terzani sull’Asia, con cui Cognetti si ritaglia un momento per omaggiare il padre di Folco.

Questa sorprendente semplicità di contenuti si rispecchia nella lingua adottata da Paolo Cognetti, un’altra scelta controcorrente che affonda le radici nelle sue letture americane degli anni ’90, per fare solo qualche nome Hemingway, Rigoni Stern, Carver, Faulkner. È un retaggio che rivela precisione scientifica e la necessità di trovare il nome giusto delle cose, degli animali, degli alberi, del bosco, per mezzo di un lessico ricco di sostantivi e scarno di aggettivi.

Prossimamente Paolo farà parte di una spedizione a Kathmandu, e noi siamo già là con la mente, a fare il giro delle otto montagne e a chiederci: «Avrà imparato di più chi ha fatto il giro delle otto montagne, o chi è arrivato in cima al monte Sumeru?»

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