Le parole della distanza
11 9 2015
Le parole della distanza

La lontananza è in noi, una vera condizione umana. Una lontananza religiosa, perché lontano si sogna la patria e in patria si sogna di posti lontani. Come lo scorso anno con "La vita è un viaggio", così quest'anno Beppe Severgnini si confronta ancora con questo tema, addirittura con un viaggio tra i viaggi, attraverso letture di autori italiani che si sono cimentati in questo genere letterario.

Iniziando da Mario Soldati e il suo America primo amore. Perché ci sono varie categorie della lontananza e la prima è la scoperta. E il luogo della scoperta per eccellenza è l'America, da Colombo (Cristoforo) a Colombo (Furio). America che nelle varie epoche del Novecento è stata l'America della libertà politica, l'America di Pavese e Fenoglio, l'America energetica ed incompresa, come gioventù del mondo (Fernanda Pivano, Arbasino e Colombo che credevano in JFK e Lyndon Johnson), come esempio ed ispirazione, come insidia e spaventosa dopo l'11 settembre (Riotta e Rampini).

La seconda categoria della lontananza è la spiegazione, bisogna viaggiare e vedere con tutti e cinque i sensi, con occhio prensile. Perché chi viaggia davvero ha la curiosità più forte del giudizio. Così raccontò l'Africa dei "negri" Egisto Corradi negli anni '50 e l'Italia stessa Guido Piovene.

La terza categoria è la distanza. Fino a pochi anni fa non c'erano internet e i voli low cost e si potevano raccontare ai lettori luoghi davvero sconosciuti (e gli imbroglioni potevano raccontare di luoghi che non avevano visto nemmeno loro). Viaggiare richiedeva sforzo fisico, così come scrivere sulla macchina da scrivere (e adesso si batte ancora forte, e inutilmente, sui tasti del computer). Oriana Fallaci, multipla e viaggiatrice, passionale, avventurosa e polemica, ha raccontato di poteri lontani, di viaggi fatti per incontri, per interviste a personaggi di potenze lontane. E come Montanelli, la Fallaci non scompare dietro alle domande, ma si fa protagonista, polemizza, stuzzica, improvvisa, accusa, sfida il potere che le sta davanti.

La quarta categoria è l'intuizione: il giornalista di viaggi diventa scrittore quando trasfigura i luoghi normali e insegna a guardare con occhi nuovi. E così ancora Cesare Pavese e Beppe Fenoglio che racconta la resistenza come fosse un viaggio nell'umano. E sempre Mario Soldati o Leonardo Sciascia o Goffredo Parise. Stiamo viaggiando tra i viaggi e ad un certo punto esce "quel sentimento italiano senza nome".

La quinta categoria è l'ironia, la sorella laica della misericordia, come la definisce Severgnini. O come l'unico modo per prendere alle spalle gli dei, come la descrive Giorgio Manganelli. Perché nel deserto gridano solo i profeti e gli italiani.

Infine la categoria della poesia, che rimane fondamentale per raccontare il viaggio. Magris e Rumiz ne sono degni rappresentanti, entrambi di Trieste, una città che è il sud del nord e il nord del sud; ma ugualmente l'est dell'ovest e l'ovest dell'est. Oppure Italo Calvino con il suo Se una notte d'inverno un viaggiatore. Ma soprattutto Pier Paolo Pasolini che nel 1954 compone un inno all'Italia dei paesi, delle persone, della natura e dei monumenti, delle città che diventano stati. E allora andiamo avanti nella nostra vita come fosse un viaggio, ben sapendo che nessun viaggio dura in eterno e che comunque un festival così non c'è in tutta Europa.


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