Lucky me!
10 9 2018
Lucky me!

Il memoir americano di Michael Frank

Per parlare del memoir I Formidabili Frank, nel suo impeccabile italiano Michael Frank fa subito una precisazione a Gabriele Romagnoli con garbo e ironia: per scrivere dei membri della mia famiglia «ho deciso che erano già tutti morti!». Eppure alcuni dei magnetici Frank in vita lo sono eccome, ma su di loro e sulle loro reazioni al libro lo scrittore si rifugia nel non detto, promettendo un to be continued a un pubblico estremamente curioso. Chi sono questi Formidabili, questi Mighty Franks?

Un fratello e una sorella hanno sposato una sorella e un fratello. La coppia più anziana non ha figli e quindi quella più giovane glieli presta. Le due famiglie abitano a Laurel Canyon, a poche centinaia di metri l’una dall’altra. E le nonne abitano nello stesso appartamento ai piedi della collina.

Frank ricostruisce con poche pennellate la genesi di una famiglia «che si era sceneggiata e riscritta» sino a fondare un vero e proprio mito domestico. In casa tutti possiedono una forte immaginazione, tutti sono scrittori o sceneggiatori e, come tali, si muovono tra le strade di Los Angeles attratti dalla possibilità di potersi reinventare costantemente. Con una rabbia fantastica, feroce che esplode nelle stanze come la sua colonia maschile, zia Hankie è il perno di un’intera famiglia che si è creata negli anni ‘30 grazie all’intraprendenza di Huffy, la nonna paterna. La zia è la narratrice di tutto e tutti, tanto che Michael si ritrova a dover imparare a narrare se stesso nel corso del tempo. I precetti che deve seguire per far parte dei Formidabili sono a doppia lama, passano da «crea bellezza tutte le volte che puoi» a «integrarsi è la morte». Integrarsi, infatti, è impossibile per lui e così tutte le regole di famiglia assumono una connotazione negativa sino alla stesura del libro stesso e al confronto con i lettori. «Lucky me!», esclama con ironia Frank al pensiero di tutte le prove della zia che per un lettore esterno appaiono estremamente affascinanti. Eppure riconosce finalmente che senza di esse non avrebbe potuto sviluppare un punto di vista originale, non scelto ma usato per scrivere.

Nell’introdurre la propria famiglia al pubblico, Frank non dimentica personaggi meno irruenti della zia, ma altrettanto indimenticabili: lo zio Irving con il suo stanzino, una sorta di A room of One’s Own; la nonna materna Sylvia, la sola a non avere soprannomi nella mitologia dei Formidabili; la madre con le sue continue evoluzioni e rivoluzioni, la cui voce è l’unica a emerge tra le pagine del figlio. Il giovane Michael non capisce perché sia stato scelto da zia Hankie, perché a lui siano concessi i regali e i giri in città con lei mentre i suoi fratelli lo guardano confusi dalla finestra di casa. È qualcosa a cui anche da adulto non è ancora riuscito a trovare una risposta. Ciò di cui è certo, però, è che prima del libro «non respiravo bene» e che andarsene da Los Angeles e trasferirsi in Italia è stato un modo per creare un proprio stanzino, in cui risvegliare le idee e poter scrivere liberamente. Soprattutto, un modo per rendersi conto di star scrivendo e raccogliendo prove fin dalla nascita. E alla domanda se il mito dei Frank esista ancora, può finalmente rispondere «no, abbiamo il diritto di non essere sempre formidabili».

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