Malgrado tutto
11 9 2022
Malgrado tutto

Miguel Benasayag racconta la sua vita

Miguel Benasayag è l’Argentina. La sua vita ci da uno spaccato delle dinamiche sociali e politiche che hanno attraversato il Paese soprattutto durante gli anni ‘70. Milita nella guerriglia guevarista nelle file dell’ERP (Esercito Rivoluzionario del Popolo) dove ricopre alcune delle cariche di dirigenza. Viene catturato, torturato e solo dopo un atto diplomatico segreto tra Francia e Argentina (la madre ebrea francese era fuggita nel 1939) viene estradato nel Paese materno, del quale aveva la cittadinanza.

La sua produzione letteraria e la qualità dei sui scritti gli ha conferito il titolo di “filosofo". Riconoscimento che sicuramente apprezza, ma che con umiltà e modestia scanzona con abili battute. Da poco ripubblicato da Jaca Book Malgrado tutto. Percorsi di vita è un libro che si potrebbe considerare un'autobiografia non autoreferenziale. Quello che emerge è solo la visione dell’esperienza senza giudizio morale. La prima parte del libro, scritto al suo arrivo a Parigi poco più che quarant’anni fa, si concentra sul momento della carcerazione e della tortura, mentre la seconda parte si sviluppa in un dialogo composto vent’anni dopo.

Nel testo di Benasayang si racconta di un’Argentina combattente, resistente e violenta. La storia argentina è costellata di dittature militari. Nessuna democrazia è mai riuscita a compiere il suo mandato, è sempre avvenuto il colpo di stato. Come il golpe avvenuto nel 1976 a carico delle forze armate per annientare definitivamente qualsiasi movimento sovversivo operaio o studentesco che fino ad allora aveva protestato e combattuto per fermare la dittatura di Juan Carlos Onganìa. Questi gruppi armati di resistenza sono i gruppi nei quali militava Benasayang, erano gruppi politici nati dal popolo, capaci di integrare tutta l’onda contestataria nei confronti del potere ufficiale. Il realismo sociale era definitivamente fallito e le istanze dell’ERP avevano in qualche modo a che fare con controcultura, indigenismo ed emancipazione femminile.

L'autore suonava in un gruppo rock la batteria ed in qualche occasione anche il sax. «Era tutto mescolato. Facevamo teatro alternativo con finali a sopresa. Arrivavano i poliziotti e dovevamo farci la notte in commissariato. I sindacalisti erano torturati, ma la sensazione rimaneva di festa. Era una Festa Dura. Era totalmente antisovietica, non sapevamo nulla dei cinesi e forse qualcuno di noi non sapeva neppure dove fosse la Cina. Per noi era importante la sponaneità della rivolta. Rock, teatro e liberazione femminile facevano orrore ai comunisti». In quel momento Benasayang cominciava ad entrare nelle gerarchie dei movimenti rivoluzionari e nel frattempo studiava psichiatria. Uno dei riferimenti culturali più costanti era David Cooper, leader del movimento della anti-psichiatria. Era una stagione di primavera assoluta. C’era grandissima speranza nel futuro, nonostante le enormi difficoltà quotidiane. Lo scontro con i militari era giornaliero, ma non coinvolgeva mai la cittadinanza.

I militari non erano neutri. Erano per la maggior parte figli di famiglie di origine europea che avevano ucciso gli Indios e che si erano appropriati delle terre. I militari erano un partito. Che Guevara era una figura importante per incanalare la direzione degli scontri nei confronti dei militari. Molti erano d’accordo ed entravano nelle fila dei movimenti, molti altri per timore di ritorsioni e violenze partecipavano alle assemblee e poi rimanevano nell’ombra.

L’appoggio popolare all’ERP era molto forte. Benasayang quando racconta di alcune «gite alle banche» o «di rapine a camion di giocattoli per la festa dei Re Magi» distribuite poi nei villaggi più poveri. Benasayang non giustifica nulla, si poteva fare una rivolta in forme diverse, forse più artistiche, culturali e sociali ma non rinnega nulla. La lotta armata era diventata una scelta radicale e fondativa anche se per noi oggi, può essere difficile da comprendere.

È stato arrestato poco meno di un anno prima del più drastico e violento golpe argentino. È stata una fortuna essere stato catturato nel periodo precedente al colpo di stato militare perché c’era ancora un tribunale, che non preveda una difesa, ma rimaneva uno spazio civile, cosa che i militari hanno eliminato. Dopo il golpe, proprio per questa ragione «la gente non arrivava più in carcere. Catturavano intellettuali, artisti, amici e parenti e semplicemente sparivano. Nessuno sapeva più nulla».

La sopravvivenza all’interno del carcere è dura. Vengono picchiati e torturati e non tutti riescono a sopravvivere. Benasayang racconta dell’importanza di costruire due sfere di sopravvivenza: una collettiva e una intima. La prima era in riferimento al gruppo di compagni che con lui erano imprigionati. Ha intuito, grazie anche ai suoi studi, che era fondamentale mantenere un nucleo nel quale le persone che avessero subito torture psicologiche e fisiche potessero ritrovarsi. Nel senso letterale di "ritrovare sé". La seconda, quella più intima, consisteva nel mantenere un distacco tra esterno ed interno del proprio essere, differenza che garantisce la libertà e la sopravvivenza, ma che la tortura vuole assottigliare per distruggere.

Benasayang segue il confronto, moderato brillantemente da Adrian Bravi, con un susseguirsi di aneddoti che lasciano increduli, per il modo che ha di raccontarli: con una pacatezza e una serenità assolute. Ci sono due punti sui quali ha senso tuttavia soffermarsi: la reazione del popolo argentino e la lezione che l'autore vuole trasmettere.

Il popolo argentino non reagisce in alcun modo, una volta tornato Péron e terminata la dittatura militare. C’è l’associazione Hijos (figli in spagnolo) che organizza sit-in davanti alle case dei torturatori urlando «Qui abita un torturatore!». Rimane tutto estremamente pacifico ma si crea un’asimmetrica etica, che mai nella storia dell’Argentina era capitata. La totale mancanza di risposta violenta crea uno squilibro che lascia ancora oggi l’autore sbalordito. La vittoria è avvenuta giudicando in tribunale moltissimi torturatori. «Uno dei torturatori del mio carcere abitava vicino a me a Parigi. Ho scoperto che lavorava per Sarkozy come consulente alla difesa. Affinità elettive».

Miguel Benasayang è inevitabilmente un filosofo. Una vita estremamente intensa ed una capacità straordinaria di rielaborare il vissuto, distruggerlo, studiarlo e ricomporlo all’interno di un contesto sostenibile. Ci sono troppi insegnamenti nelle sue parole, troppi consigli nelle sue battute. L'unico che vale la pena di scrivere è: leggetelo.

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