Mia carissima Virginia
7 9 2019
Mia carissima Virginia

Nadia Fusini e le lettere di Virginia Woolf e Vita Sackville-West nel corso di quindici anni di grande amore.

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È un'analisi sentita e profonda quella fatta da Nadia Fusini sulla bellissima e tormentata relazione tra Virginia Woolf e Vita Sackville-West. Due donne che piano piano si conoscono e si scoprono, imparando ad amarsi. Due donne completamente diverse tra loro: Vita, nobile rampolla di una grande famiglia aristocratica, disinibita e libera, che entra ed esce con disinvoltura dai letti di uomini e di donne. Virginia, invece, creatura fragile e impaurita, ancora ignara di che cosa possa essere il piacere. Nelle loro lettere l'amore non è raccontato in maniera lirica o sentimentale, ma profondamente onesta. Ciò che le lega non è nulla di scabroso e cupo, ma un sentimento puro e pieno di luce.

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Virginia si rivela una donna ironica, spiritosa e intelligente che ama giocare con le parole: «Vita è colorata, florida e baffuta, variopinta come un pappagallo». Conosce la passione grazie all'abbraccio caldo di Vita, gioca con il nome proprio e il nome comune: «Vita rende la vita più piena». È una donna che sa fare tutto, che prende tutto, è casa e mondo, è madre, è uomo e donna allo stesso tempo. Virginia è più bambina, è solo pensiero, immagina e fantastica, si perde nei sogni e nelle confidenze con l'amica e amante, che le risponde che è proprio questo essere donna, «il sapere che l'altra è donna».

Virginia e Vita si incontrano per la prima volta il 14 dicembre 1922: la prima nota le gambe dell'altra, il viola degli occhi, l'aria opulenta, i brillanti che porta alle dita. Vita risveglia in Virginia l'impressione di un passato glorioso, di un'Inghilterra elisabettiana e shakespeariana. Non capisce da subito quale demone erotico si nasconda in lei; non conosce la crudeltà nei confronti delle amanti o il potere in grado di esercitare. Virginia cede al corteggiamento, alla fine sarà proprio lei a fare il primo passo e nei loro ricordi la notte a Long Barn in cui tutto esplose, rimase sempre viva.

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Da quel momento non si lasciarono più: Virginia imparò a conoscere il lato più profondo di Vita, quel suo desiderio ossessivo e trasgressivo che la portava a odiare la vita borghese e a oltrepassare i confini. Vita, invece, si impegnò a proteggere la sua «meravigliosa bambina» ammirandone l'intelligenza e la bellezza spirituale, la spietatezza e la dolcezza. A volte cedeva al terrore che potesse ricadere nella follia e per questo la curava e la coccolava, occupandosi di tutto, come se si fosse tramutata quella madre che Virginia perse troppo giovane. Per la prima volta, Vita si muove con cautela: sa di dominare la sua amante, e per questo contiene i suoi furori amorosi nel rispetto di un animo così delicato.

È un amore platonico il loro, un amore che per Vita non ha nulla a che vedere con la passione che continuava a cercare in altre donne. Celava goffamente i suoi tradimenti, così come Virginia faceva con la sua gelosia. Sentendosi trascurata e messa da parte, la minaccia e la prega. Sopporta e aspetta un nuovo incontro, pronta a sacrificare i suoi pomeriggi a lei. E nella sofferenza dell'attesa decide di creare un suo doppione, una sua copia. Scrive Orlando, la sua sublime vendetta. Orlando è la sua Vita, quella che ha conosciuto e che le sfugge in continuazione, ricostruita in un'opera che attacca gli stereotipi di genere e descrive tradimenti della donna che ama. Un dono d'amore che ragiona sul piacere femminile e maschile, di cui Vita finirà inevitabilmente per innamorarsi.

In queste lettere si legge l'amore che chiunque può aver vissuto, la gelosia, l'abbandono, la nostalgia, la gioia. Si legge di perdite e ritrovamenti, di un affetto che neanche la guerra è riuscita a far cedere. Perché se Virginia è spiritualità e dolcezza, Vita restituisce il tutto con i gesti: nel 1941 le razioni sono ridotte, manca il burro. Vita ne invia una libbra a Virginia, che, riassaggiandolo, ne paragona il sapore alla rugiada e al miele. L'ultima richiesta che fa è di due pappagallini, che Vita alleva. «Se sono ancora vivi», aggiunge. Non li avrà mai, sono morti di fame. L'anno dopo, Virginia Woolf si riempirà le tasche di sassi e si abbandonerà alle acque del fiume Ouse. Vita Sackville-West, dapprima incredula, passerà gli anni successivi tormentandosi nella convinzione che forse avrebbe potuto salvarla dai suoi demoni e dalla sua tristezza, se solo avesse potuto starle vicino.

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