Nei miei armadi un fiume di vestiti
7 9 2019
Nei miei armadi un fiume di vestiti

Jane Sautière e Elvira Seminara dialogano sull'importanza dei vestiti come compagni di vita e narratori di storie

Jane Sautière (Dressing) e Elvira Seminara (Atlante degli abiti dismessi) conducono lo spettatore alle origini della scrittura: atto intrinsecamente legato, per loro, alla tessitura. La macchina da scrivere, afferma Elvira Seminara, è figlia della macchina da cucire. La prima macchina da scrivere, racconta, fu creata in un’azienda di tessitura, utilizzando gli scarti della macchina da cucire. Fu così che il primo esemplare di strumento di scrittura era un ibrido, con i tasti per scrivere e ancora il pedale per tessere. Il lessico attuale ne conserva la testimonianza: tessere ha lo stesso etimo di testo; usiamo dire la “trama di una stoffa” come la “trama di una storia”… A rimarcare quanto le stoffe con le quali ci interfacciamo al mondo assurgano a protagoniste delle nostre più intime storie.

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Nelle Operette morali, Leopardi scrive che «la morte è sorella della moda». In uno scambio di battute fra le due - la morte e la moda - quest’ultima mostra alla morte la comunanza del loro modo di vivere, unito dalla caducità e dal senso dell’effimero. La moda collabora - assieme alla morte - alla distruzione, costringendo l’uomo a tutte le stranezze culturali a cui è avvinto: bucarsi i lobi delle orecchie, indossare collari che allunghino lui il collo, fasciare i piedi ai neonati…

Le due scrittrici ribaltano il connubio ottocentesco moda/morte, affermando e scrivendo che la moda, per loro, è innanzitutto vita. La concezione del vestirsi che le accomuna è parallela all’idea di scrittura di John Barth, per il quale le parole «lo desiderano». La medesima tensione erotica che lo scrittore trova in relazione al testo, è da loro rintracciata nel sentire sulla pelle le pieghe del vestito amato.

L’atto del vestirsi è stato considerato, lungo la storia, frivolo e ristretto al dominio femminile, mentre il genere maschile - al quale erano stati assegnati compiti di pensiero più alti - vi guardava con ironia e derisione. Ecco che le distinzioni semantiche giungono ancora una volta in aiuto, questa volta per affermare la distinzione fra frivolezza e futilità. La frivolezza è collegata al gioco della seduzione, innescata dal bisogno dello sguardo dell’altro su di noi. Questo atteggiamento è lontano dal campo di ricerca delle due scrittrici. La futilità, invece - atteggiamento di cui entrambe rivendicano appartenenza - fa riferimento, secondo la particolare definizione di Jane Sautière, alla «morte nella vita»; ovvero al riconoscimento di tutto ciò che è mortale, come un vestito, ma al tempo stesso gioioso nel presente. Il senso del futile si radica su una fragilità della quale siamo consapevoli, mentre la frivolezza è simulazione della gioia, una piroetta davanti al pubblico.

L’interesse di entrambe le scrittrici verso l’indumento è in quanto riconoscono in esso un portatore di storie. Da qui il rischio dell’industrializzazione di massa, per colpa della quale i vestiti perdono la particolarità di distinguersi l’uno dall’altro. L’abito deve mantenere la qualità di strumento di affermazione, e non ridursi a stoffa muta che faccia scomparire la creatività dietro alla marca omologante.

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Michelangelo Pistoletto, La Venere Degli Stracci - 1967

«Nei miei armadi c'è un tale fiume di vestiti che se dovessi morire solo dopo averli consumati tutti, mi avvicinerei alla nozione di eternità. Mi rendo conto di essere poca cosa, e che, per questo motivo, mi vesto. Ma forse è proprio di questo che si tratta, di morire meno» (Guardaroba, Jane Sautière).

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