Come avviene la costruzione di mondi fantastici e cosa accade nella testa di uno scrittore man mano che si allontana dalla realtà.
Alcuni scrittori traggono l'idea portante per i loro romanzi da una frase, un’immagine, la visione di una scena o di un paesaggio, ma per Christelle Dabos, scrittrice francese affermatasi nel genere Fantasy, non è andata proprio così.
Dabos racconta a Fiore Manni, Michele Monteleone e il giovane pubblico in suo ascolto come l’ispirazione per l’Attraversaspecchi (Edizioni E/o, 2013-2020), saga che le ha procurato un successo internazionale, sia arrivata in seguito alla fugace apparizione dell’eroina dei libri, Ofelia, davanti ai suoi occhi. Benché la scrittrice nell’estate del 2007 stesse già lavorando a un altro romanzo, di cui aveva ultimato la trama e i personaggi, non ci ha pensato due volte e ha risposto alla chiamata, creando il mondo fantastico con cui ha incantato migliaia di lettori.
Dabos afferma che all’inizio è andata proprio così: come una “scrittrice giardiniera” ha dato ascolto al suo istinto e lasciato che le idee germogliassero, assecondandole dovunque la portassero e consentendo alla storia di prendere il via. In un secondo momento ha avuto bisogno - anche incalzata dagli editori - di più chiarezza e per il secondo volume le è stata imposta una sinossi, tentativo che si è declinato in un vero e proprio blocco creativo.
«È necessario accettare il blocco come parte del processo” - racconta - “ho imparato a interpretare la scrittura come un materiale vivo, che ha bisogno di emanciparsi».
Nelle parole di Christelle Dabos prende forma un metodo di scrittura estremamente libero e consapevole, di un’autrice in grado di ascoltare i propri personaggi e comprenderne gli aspetti irrisolti, in cui anche la plasmazione dei personaggi più bizzarri non costituisce una sfida né richiede alcuno sforzo mentale: “Vengo da una famiglia di musicisti classici, poco conforme, per me il bizzarro è la norma”.
La scrittrice analizza in seguito il suo rapporto con la protagonista della saga, Ofelia, una giovane goffa ma determinata, in qualche modo riflesso complementare della sua autrice. Se infatti Ofelia è debole in apparenza e nasconde la propria forza all’interno, Dabos rivela di percepirsi come il suo opposto, o almeno in principio, giacché sia Ofelia sia la penna che l’ha inventata hanno poi trovato la propria strada e sono cambiate nel corso degli anni.
Christelle Dabos spiega infatti che ha compreso che la tetralogia era giunta al termine quando ha esaurito il tema centrale, il rapporto tra illusione e realtà, fulcro della vicenda, ma anche e forse soprattutto quando si è esaurito un problema più profondo che la riguardava:
«Spesso una storia inizia quando qualcosa dentro di me non è risolto. Il finale perciò arriva quando la questione è chiusa e il problema risolto, dunque si può passare al prossimo».