Nel giardino che vorrei
7 9 2024
Nel giardino che vorrei

Conversare con Olivia Laing e Chiara Valerio in un pomeriggio di settembre

Dentro ai libri di Olivia Laing ci sono viaggi interiori e un attraversamento spaziale: l’abbiamo seguita lungo l’Ouse, un fiume che attrae chi ha perso la fede in Gita al fiume; attraverso l’America alla stregua di sei scrittori alcolisti in The Viaggio a Echo Spring; tra i grattacieli di New York in Città sola; a ritroso nel tempo nella storia del Novecento raccontata i tramite corpi in Everybody; e infine, nel suo giardino in Il giardino contro il tempo.

In Città Sola Lang racconta che nella solitudine del suo monolocale newyorkese passava le giornate a giocare ossessivamente a Tetris per ore e ore. Poteva sembrare un’inutile perdita di tempo – e forse lo era – ma ciò che ha appreso dopo è che era un esercizio su come assemblare gli oggetti in uno spazio vuoto.

Il modo in cui Lang riempie la pagina vuota secondo Chiara Valerio suggerisce l’idea che il suo essere una scrittrice inglese sia profondamente connesso al suo strisciare nel mondo – essendo il Regno Unito un paese di esploratori che hanno imperato su tutto il globo. È una tradizione di grandi viaggiatori come Gerald Durrell e i fratelli Stephens. E suggerisce anche che, forse, la maniera letteraria e fisica in cui si sposta sia indicativa del fatto che non ci sono viaggi interiori che non muovano anche i corpi.

La tradizione in cui si colloca Olivia Laing è prettamente modernista, da dove gran parte dei suoi viaggi traggono spunto. Il riferimento letterario britannico che più la forgia però è Virginia Woolf: come osserva Chiara Valerio, le due scrittrici sono accumunate da un’ossessione dei passi come misura del tempo. Una maniera di studiare la realtà a partire da ciò che si trova attorno a noi: in poche parole entrambe utilizzano il mondo inanimato per descrivere il mondo umano. Chiara Valerio strizza l’occhio a Lang «è ciò che riescono a fare i grandi scrittori senza cedere alla psicanalisi».

Per questa ragione la psicanalisi è uno dei punti cardine che ritorna nelle sue produzioni. Lang è interessata al livello della superficie delle cose, a come appaiono nella loro finitezza e nei loro contorni. Ma non solo, studia la superficie delle cose e poi la trivella, alla ricerca di ciò che impalpabilmente unisce corpi.

È chiaro che ciò sia anche lo specchio di una ricerca e uno scavo profondo nell’anima, compiuto primariamente attraverso la lettura. Chi conosce Olivia Laing sa perfettamente che i suoi scritti sono delle matrioske dove si trovano libri all’interno di libri e sono persino suggellati da una ricca bibliografia. Si coglie in modo lampante un’attitudine alla lettura come pratica quotidiana, prima ancora di scrivere. È attraverso la lettura che si riesce a cogliere le segrete corrispondenze che connettono le vite delle persone, che ci fanno intravedere una vita interiore. Il romanzo è l’unica tecnologia che ci permette di immaginarla e afferrarla.

Spaziando tra memoir e romanzo, Laing collega il suo vissuto con esperienze analoghe di grandi artisti e artiste – come Andy Warhol o Kathy Acker – alla ricerca del retroterra comune di timori, gioie e pensieri.

Il giardino contro il tempo (Il Saggiatore, 2024) è in parte un memoir, innescato da un’esperienza personale. Nel 2020 Laing e suo marito acquisiscono una casa nella contea di Suffolk con un piccolo giardino sterile da far germogliare. La rivitalizzazione delle piante incolte è stato un progetto erculeo, compiuto nella stagione della pandemia, dove l’ansia per la situazione sanitaria e politica è affiancata a una serie di turbamenti interiori. Non si tratta di un libro di giardinaggio, piuttosto la narrazione personale funge da traliccio per quello che è un lavoro di critica letteraria appassionato e di ampio respiro. È un indagine sull’Eden e la sua datata associazione con i giardini. Muovendosi tra giardini reali e immaginari, dal Paradiso perduto di Milton alle elegie di John Clare, da un santuario in tempo di guerra in Italia a un grottesco luogo di piacere aristocratico finanziato dalla schiavitù, Laing si interroga sul costo a volte scioccante di creare un paradiso in terra, che può implicare sfruttamento, degradazione dell’ambiente e caporalato. Il paradigma del giardino può rappresentare un luogo ameno, ma può anche essere considerato come l’appropriazione di uno spazio, recintato ed escludente, o ancora uno spazio dove nascondersi.

Valerio sottolinea che in una certa qual misura il giardino è l’allegoria di una macchina del tempo dove passato, presente e futuro sono intrecciati fin dalle radici.

Il tipo di discorso che porta avanti Laing è quantomai attuale e necessario: a livello linfatico e metaforico nelle radici sono inscritte le nostre origini e il nostro passato. Quella stessa materia linfatica deve scorrere e tendersi verso il futuro, soprattutto in un momento in cui le pareti si fanno sempre più strette attorno a noi. I muri vengono eretti e i confini chiusi. Siamo testimoni da un angolo all’altro del mondo di una tendenza alla riduzione della libertà corporea. Proprio per questa ragione diventa fondamentale immaginare un mondo che sia un giardino composto da un’ecologia interspecie mai statica e sempre in movimento. Progressiva e prolifica.

L'intervista di Olivia Laing con la redazione di Festivaletteratura

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Festivaletteratura